Tanto tempo fa (ma proprio tanto: 10 miliardi di anni), in una galassia lontana lontana, conosciuta come blazar PKS B1424-418, si è verificata una potentissima e prolungata esplosione (outburst), causata dal materiale che ricadeva in eccesso sul buco nero supermassiccio presente al centro della galassia.
La “luce” sprigionata da questa esplosione, dopo un lunghissimo viaggio, ha raggiunto la Terra nel 2012, dove è stata rilevata da specifici telescopi, tra cui, in particolare, l’osservatorio spaziale Fermi della NASA, dedicato allo studio della radiazione gamma di alta e altissima energia.
Più o meno nello stesso periodo, precisamente il 4 dicembre 2012, l’osservatorio per neutrini IceCube, un insieme di 86 rivelatori incastonati in un chilometro cubo di purissimo ghiaccio antartico, aveva rilevato un evento noto come Big Bird, un neutrino con un’energia superiore a 2 PeV, 2 milioni di miliardi di elettronvolt. All’epoca era il neutrino di più alta energia mai rilevato, e ancora oggi detiene il secondo posto.
In un nuovo studio, pubblicato qualche giorno fa su Nature Physics, un gruppo internazionale di scienziati – tra cui due italiani – ha compiuto un’indagine per stabilire se si potesse associare la nascita del neutrino da record con il blazar, ovvero con i getti di plasma scaturiti dal nucleo attivo della galassia in questione. Utilizzando i dati di Fermi, nonché degli altri telescopi spaziali NASA Swift e WISE, assieme a una serie di radiotelescopi terrestri, gli autori del nuovo studio hanno dimostrato che Big Bird è probabilmente nato nello stesso evento che ha potenetemente attivato il blazar.
«I neutrini sono le più veloci, leggere, asociali e meno comprese particelle fondamentali, e solo da poco tempo siamo in grado di rilevare quelle ad alta energia che arrivano da fuori della nostra galassia», spiega Roopesh Ojha, membro del team di Fermi presso il Goddard Space Flight Center della NASA e coautore dello studio. «Il nostro lavoro fornisce la prima associazione plausibile tra un singolo oggetto extragalattico e uno di questi neutrini cosmici».
Benché i neutrini siano molto più numerosi di tutti gli atomi nell’universo, interagiscono ben poco con la materia, rendendo la loro rilevazione una vera sfida. Tuttavia, questa proprietà permette ai neutrini di uscire agevolmente da luoghi e situazioni in cui, al contrario, i fotoni di luce rimangono “impantanati” a lungo, come il nucleo di una stella.
Attraversando l’universo quasi totalmente inalterati, i neutrini sono in grado di fornirci informazioni – in particolare su processi estremi – che non sarebbero disponibili attraverso il solo studio della radiazione elettromagnetica.
L’osservatorio IceCube rileva i neutrini quando interagiscono con gli atomi nel ghiaccio, innescando una cascata di particelle cariche in rapido movimento che emettono un debole bagliore, chiamato luce Cerenkov. L’energia del neutrino in arrivo può essere determinata dalla quantità di luce emessa dalla relativa cascata di particelle.
Determinare la direzione da cui proviene il neutrino è invece più problematico. I dati di IceCube hanno permesso di localizzare la posizione d’origine del neutrino in una zona di cielo australe grande circa 32 gradi, equivalente alla dimensione apparente di 64 lune piene.
All’interno di quella zona di cielo ricadono diverse sorgenti di raggi gamma rivelate dallo strumento Large Area Telescope (LAT) a bordo del satellite Fermi, tra cui anche PKS B1424-418, una galassia attiva classificata come blazar di raggi gamma, con uno dei due getti puntato quasi direttamente verso il punto di vista terrestre.
Per la durata di un anno a partire dall’estate del 2012, Fermi ha assistito all’intensa emissione luminosa del blazar, che in quel periodo risultava tra le 15 e le 30 volte più luminoso nei raggi gamma rispetto alla sua media prima dell’eruzione.
Gli scienziati hanno quindi cercato una sorgente dotata di un’energia sufficiente per dare origine a un neutrino con energia dell’ordine dei PeV (peta elettronvolt), come appunto il BigBird, all’interno di un programma denominato TANAMI (Tracking Active Galactic Nuclei with Austral Milliarcsecond Interferometry).
Il programma prevede osservazioni di galassie attive nel cielo australe, eseguite anche da una rete di radiotelescopi, tra cui lo Australian Long Baseline Array (LBA), che, quando collegati tutti assieme attraverso le tecniche di interferometria, permettono di guardare con grande dettaglio nei getti delle galassie attive. Queste osservazioni radio hanno rivelato che nessuna altra galassia aveva manifestato un aumento di emissione paragonabile a quello di PKS B1424-418, nel periodo in cui il blazar si era attivato.
«Abbiamo setacciato la zona di cielo da dove Big Bird deve provenire in cerca di oggetti astrofisici in grado di produrre particelle e radiazioni ad alta energia», commenta il coautore Felicia Krauss, studentessa di dottorato presso l’Università di Erlangen-Norimberga, in Germania. «C’è stato un momento di meraviglia e di stupore quando ci siamo resi conto che l’esplosione più potente che avessimo mai visto in un blazar è avvenuta proprio nel posto giusto, al momento giusto».
I blazar, all’interno di loro getti, sono in grado di accelerare protoni a energie relativistiche. Le interazioni di questi protoni con la luce della regione centrale del blazar può creare pioni, nel cui decadimento vengono prodotti raggi gamma e neutrini.
Nel nuovo studio i ricercatori hanno calcolato una probabilità del 5 per cento che l’evento esplosivo del blazar PKS B1424-418 e l’evento che ha generato il neutrino Big Bird siano accaduti contemporaneamente, per puro caso. Forse non una certezza assoluta, ma ben più di un indizio.
«Tenendo conto di tutte le osservazioni, il blazar sembra aver avuto mezzi, movente e opportunità per “sparare” il neutrino Big Bird, il che lo rende il nostro primo sospettato», dice Matthias Kadler, professore di astrofisica all’Università di Würzburg, in Germania, primo firmatario dell’articolo.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo pubblicato su Nature Physics “Coincidence of a high-fluence blazar outburst with a PeV-energy neutrino event”, di Kadler, M.; Krauß, F.; Mannheim, K.; Ojha, R.; Müller, C.; Schulz, R.; Anton, G.; Baumgartner, W.; Beuchert, T.; Buson, S.; Carpenter, B.; Eberl, T.; Edwards, P. G.; Eisenacher Glawion, D.; Elsässer, D.; Gehrels, N.; Gräfe, C.; Hase, H.; Horiuchi, S.; James, C. W.; Kappes, A.; Kappes, A.; Katz, U.; Kreikenbohm, A.; Kreter, M.; Kreykenbohm, I.; Langejahn, M.; Leiter, K.; Litzinger, E.; Longo, F.; Lovell, J. E. J.; McEnery, J.; Phillips, C.; Plötz, C.; Quick, J.; Ros, E.; Stecker, F. W.; Steinbring, T.; Stevens, J.; Thompson, D. J.; Trüstedt, J.; Tzioumis, A. K.; Wilms, J.; Zensus, J. A.
In questo video della NASA (in inglese), lo scienziato Roopesh Ojha spiega come sia stato scoperto il primo collegamento plausibile tra un’eruzione di blazar e un neutrino dallo spazio profondo. Crediti: NASA Goddard Space Flight Center