Il satellite BeppoSAX era concepito per combinare un gruppo di strumenti a campo stretto, coallineati, capaci di coprire una larga banda di energia (da 0.2 a 300 keV) con due camere a grande campo (40×40 gradi) orientate a 90 gradi dall’asse degli strumenti principali, in direzioni opposte tra di loro. Dal momento che il cielo in raggi X è molto variabile, si voleva monitorare il flusso delle sorgenti con le camere a grande campo, per ripuntare il satellite ed andare a studiare le sorgenti in condizioni particolari di luminosità.
Uno degli strumenti era il cosiddetto Phoswich Detector System (PDS), per lo studio di sorgenti tra 15 e 300keV. Per limitare il fondo prodotto dai raggi cosmici e dai raggi gamma diffusi, il PDS era circondato da 4 rivelatori di circa 1000 centimetri quadrati l’uno, posti in anti-coincidenza con i rivelatori principali. Nel 1984 il professor Filippo Frontera propose di utilizzare quei 4 rivelatori in un monitor per Gamma Ray Bursts, detto GRBM. Ciò fu fatto con la semplice aggiunta di un’elettronica ausiliaria e con un impiego supplementare ma modesto di telemetria.
I Gamma-Ray Bursts (GRB) sono fiotti di raggi gamma estremamente intensi che arrivano da direzioni imprevedibili del cielo. Durano da poche frazioni di secondo a qualche decina di secondi e poi scompaiono, senza che si trovi in cielo traccia della loro presenza. Per 25 anni hanno costituito un mistero, perché le basse prestazioni direzionali dei rivelatori di raggi gamma non consentivano di associarli con oggetti astrofisici noti. Potevano essere oggetti all’interno della nostra galassia o in altre galassie anche lontane. Ignorandone la distanza, non si poteva nemmeno calcolare l’energia liberata da questo fenomeno esplosivo.
Il mistero è stato risolto da BeppoSAX. Dopo il lancio di SAX (ribattezzato Beppo in onore di Giuseppe Occhialini), io e Frontera proponemmo un uso combinato e sequenziale dei rivelatori del satellite. Il GRBM avrebbe segnalato il manifestarsi di un GRB. Se in una delle Camere a Grande Campo (WFC) si fosse trovato un incremento di conteggi allo stesso tempo del GRB, si poteva acquisire l’immagine del cielo e localizzare il GRB con una precisione di circa 3 minuti d’arco. Verso questa posizione si poteva ripuntare il satellite e ottenere un’immagine del campo con gli strumenti a campo stretto, che hanno una risoluzione intorno al minuto d’arco.
Questa procedura fu studiata e messa a punto nella seconda metà del 1996. Il 28 febbraio del 1997 rivelammo un burst, e attuando la procedura scoprimmo una sorgente molto debole di raggi X che andava svanendo nell’arco di due giorni. l telescopi ottici, puntati nella stessa direzione, trovarono anch’essi una debolissima sorgente, che andava svanendo a sua volta. Lo Hubble Space Telescope osservò una lieve nebulosità intorno alla sorgente.
Due mesi dopo fu localizzato un altro GRB. Il telescopio Keck, avvertito tempestivamente, riuscì a ottenere uno spettro prima che la sorgente fosse diventata troppo debole. Lo spettro dimostrò che la sorgente era in una galassia lontana, con uno spostamento verso il rosso di 0.8. L’energia liberata era quindi pari a quella di un decimo di massa de sole convertita in fotoni in pochi secondi. Si trattava verisimilmente del collasso di una stella di grandissima massa in un buco nero.
Per la durata di BeppoSAX abbiamo continuato a studiare i Gamma-Ray Burst con questa procedura, guidando le osservazioni di tutti i più grandi telescopi e radio telescopi del mondo. Dopo sono arrivati altri satelliti, progettati a partire dall’esperienza di BeppoSAX. Ma, grazie al nostro lavoro, i Gamma Ray Burst, già a metà del 1987, avevano cessato di essere un mistero per diventare “normali” oggetti della ricerca astrofisica.
Per saperne di più:
- Leggi su Media INAF l’articolo “BeppoSax, storia di un successo“, di Marco Galliani