Il 2020 potrebbe vedere una vera e propria rivoluzione nell’ambiente scientifico europeo e non solo: il Consiglio “Competitività” che raccoglie i ministri dell’area scientifica, dell’innovazione, del commercio e dell’industria della UE ha annunciato, a conclusione di un incontro di due giorni tenutosi a Bruxelles, che tutti gli articoli scientifici pubblicati a partire dal 2020 dovranno essere accessibili liberamente (Open Access, OA), a tutti. Un “cambiamento epocale” come lo ha definito il commissario europeo per la ricerca Carlos Moedas, che però non sarà semplice da mettere in pratica.
Rendere completamente accessibile la produzione scientifica è solo una delle raccomandazioni per supportare concretamente il concetto più ampio di Open Science (ovvero la Scienza aperta a tutti), che è uno dei punti sul quale l’Olanda, attualmente nel suo semestre alla guida del governo europeo, ha svolto un notevole lavoro di convincimento verso gli altri stati membri dell’Unione. «L’epoca in cui si discute di accesso libero alla produzione scientifica è ormai passata» ha sottolineato in un comunicato il segretario di Stato olandese per l’Istruzione, la cultura, e la scienza, Sander Dekker. «Con questi accordi, ci accingiamo a farlo divenire realtà».
Una decisione che è stata accolta con favore anche dalla Lega delle Università di Ricerca Europee (LERU) secondo cui «è una spinta determinante alla transizione verso un sistema di Scienza veramente aperta». Il Consiglio non fornisce tuttavia molti dettagli su come questa indicazione possa poi trovare concreta applicazione in appena quattro anni. Secondo alcuni analisti questo obiettivo è un po’ troppo ottimistico, se non praticamente irrealizzabile (la stessa LERU lo definisce «un’ambizione tutt’altro che agevole»).
Due in estrema sintesi sarebbero gli scenari in cui questa rivoluzione della condivisione della scienza si concretizzerebbe: il primo (che viene chiamato Gold OA) ipotizza che siano gli autori degli articoli a pagare una quota agli editori per rendere i loro lavori gratuiti per tutti, oppure (nel secondo scenario, il Green OA) gli autori metterebbero a disposizione una copia dei loro articoli pubblicati in un archivio accessibile a chiunque, senza limitazioni.
Occorre, però, fare attenzione alle controindicazioni. «Il fatto che gli autori paghino per la pubblicazione dei loro articoli solleva preoccupazioni riguardo alla rigorosità del processo di valutazione (peer review), che le riviste Gold Open Access potrebbero avere interesse a rendere più permissivo», commenta Stefano Cristiani, presidente del Consiglio scientifico dell’INAF. «Dall’altro lato, per poter creare degli archivi Open Access nella versione Green occorre innovare le norme sul copyright, in modo che i diritti degli articoli rimangano in mano ai ricercatori che li hanno scritti e non diventino proprietà degli editori».
«In entrambi i casi», conclude Cristiani, «per raggiungere il sacrosanto e ambizioso obiettivo dell’accesso libero alla produzione scientifica occorre metter mano al portafogli, per garantire che gli editori ricevano il giusto compenso per il loro lavoro. Da questo punto di vista, la soluzione più interessante è quella scelta dal governo britannico, che sostiene con fondi pubblici la spesa per l’open access sulla base del cosiddetto Finch Report del 2013. Il nocciolo del problema è, come quasi sempre, da quale salvadanaio si prendono i soldi, senza dimenticare però il collegamento con temi fondamentali quali l’editoria nell’era di internet, il futuro sostenibile della peer review e l’uso della bibliometria per determinare il finanziamento ai progetti di ricerca e le carriere».