Università di Padova e ASI, l’Agenzia spaziale italiana, hanno portato a termine con successo un esperimento che dimostra l’interferenza quantistica di singoli fotoni per la prima volta su distanze di migliaia di chilometri e nello spazio libero. Si tratta di un doppio record, in quanto finora tale fenomeno era stato riprodotto al massimo su lunghezze di qualche centinaio di chilometri e all’interno di fibre ottiche.
Secondo gli autori, tutti italiani, il cui lavoro è in via di pubblicazione su Physical Review Letters, l’esperimento non rappresenta solo un cruciale avanzamento verso l’implementazione di tecnologie quantistiche per la sicurezza informatica delle reti satellitari, ma apre anche nuovi scenari per la verifica di leggi fondamentali della fisica.
Il team di ricerca, guidato da Paolo Villoresi del Dipartimento di ingegneria dell’informazione dell’Università di Padova, ha sfruttato la precisione di MLRO (Matera Laser Ranging Observatory) al Centro di geodesia spaziale dell’ASI a Matera, un particolare osservatorio utilizzato normalmente per determinare le orbite esatte di satelliti artificiali e ricavare misure geodetiche ad alta precisione. Tramite MLRO, i ricercatori hanno inviato impulsi luminosi verso tre satelliti equipaggiati con riflettori catadiottrici, che rimbalzano il fascio laser con precisione indietro verso Terra.
Gli impulsi luminosi sono stati fatti passare, sia all’andata che al ritorno, attraverso un interferometro, ovvero una serie di dispositivi ottici che sdoppiano e “sbilanciano” il fascio di fotoni. In pratica, si può considerare una variante dell’esperimento in cui un singolo fotone di luce visibile viene inviato verso un interferometro dotati di due fenditure: dal punto di vista quantistico il fotone non sceglierà l’una o l’altra ma passerà per entrambe le fenditure, dando luogo a fenomeni di interferenza, come quando si sovrappongono due fronti d’onda. Il fatto che un singolo quanto di luce (fotone) sia in grado di interferire con sé stesso è un fenomeno decisamente controintuitivo, che rappresenta tuttavia una delle verifiche più importanti e sorprendenti della validità della teoria quantistica.
Nell’esperimento del gruppo italiano, come “fenditure” sono stati utilizzati due percorsi ottici sfasati temporalmente. «Nell’interferometro in cui facciamo passare l’impulso luminoso», spiega a Media INAF Giuseppe Vallone, ricercatore all’Università di Padova e primo firmatario del nuovo lavoro, «c’è un braccio corto, lungo pochi centimetri, e un braccio lungo, lungo pochi centimetri più un metro, che ritarda il fotone di tre miliardesimi di secondo. Quello che fa l’interferometro è quindi di permettere al fotone di scegliere tra due cammini distinti, quello cosiddetto corto o quello cosiddetto lungo».
L’impulso luminoso viene quindi diretto al satellite, riflesso, ricevuto dal telescopio di MLRO, fatto di nuovo passare nell’interferometro, e, dopo un percorso complessivo di 5 mila km, ricevuto da un rivelatore di singoli fotoni. «In questo viaggio la luce viene attenuata tantissimo», aggiunge Vallone, «e quando la luce raggiunge di nuovo la Terra è essenzialmente a singolo fotone. Anzi, sono impulsi con pochissimi fotoni, con un numero medio di fotoni che è uno su 10 mila».
Proprio sul rivelatore di singoli fotoni, si materializza il “miracolo”, ovvero la ricombinazione dei due stati quantistici che permette l’osservazione della loro interferenza grazie a rivelatori a singolo fotone. In altre parole, il singolo fotone, dal punto di vista quantistico, non ha scelto un cammino oppure l’altro, ma li ha percorsi entrambi.
Il risultato ottenuto dai ricercatori italiani pone un nuovo record nello studio dell’interferenza di singoli fotoni su grandi distanze, realizzando il primo esperimento di interferenza a singolo fotone oltre l’atmosfera terrestre. Inoltre, il fatto di aver osservato questo effetto lungo un canale dell’ordine di 5 mila chilometri mostra che la coerenza delle due parti si preserva su queste distanze. Secondo i ricercatori, da questo si può concludere che non ci sono rilevanti ostacoli ad applicazioni più avanzate di test fondamentali di meccanica quantistica su questa scala e alla comunicazione sicura su scala globale.
«Quello che abbiamo dimostrato è proprio che utilizzare questa interferenza può portare alla creazione di un network globale di crittografia quantistica», dice in conclusione Vallone. «Inoltre, dal punto di vista della fisica fondamentale, lo studio dell’interferenza su questi canali spaziali, sottoposti a campi gravitazionali variabili, può avere anche una notevole implicazione per gli studi che vorrebbero riunire la meccanica quantistica e la gravità sotto un’unica teoria».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters lo studio “Interference at the single photon level along satellite-ground channels”, di Giuseppe Vallone, Daniele Dequal, Marco Tomasin, Francesco Vedovato, Matteo Schiavon, Vincenza Luceri, Giuseppe Bianco, Paolo Villoresi (preprint)