Sono giovanissime, luminose, leggere, ma è meglio non ronzarci troppo attorno. Una nuova ricerca ha scoperto che giovani stelle molto meno massicce del Sole possono scatenare un tale flusso di radiazioni in raggi X da arrivare a ridurre significativamente la durata della formazione planetaria all’interno degli anelli di polvere e gas che ancora le circondano.
Nella ricerca di pianeti fuori del nostro Sistema solare, molti astronomi si sono concentrati sull’osservazione di stelle meno massicce del Sole, in quanto, essendo relativamente deboli, risultano teoricamente i migliori obiettivi per ottenere l’immagine diretta di pianeti extrasolari nella cosiddetta zona abitabile, quella fascia intorno alla stella in cui le temperature permettono l’esistenza di acqua liquida. Tuttavia, queste stelle fiacche e leggere nella loro adolescenza risultano assai irruente, in modo tale da limitare lo sviluppo dei pianeti nel loro disco circumstellare, di fatto togliendoli la “terra” da sotto i piedi.
Nel nuovo studio i ricercatori hanno riscontrato che l’intensa radiazione in raggi X prodotta da alcune delle stelle più giovani presenti nella cosiddetta associazione TW Hydrae (TWA), una delle regioni di recente formazione stellare più prossima al Sole, ha distrutto l’anello di gas e polveri che le circondava alla nascita, residuo della nube molecolare originaria.
Lo studio, in via di pubblicazione su The Astronomical Journal, si è basato su dati raccolti dagli osservatori spaziali Chandra della NASA e XMM-Newton e ROSAT dell’ESA per ricavare l’intensità della radiazione in raggi X, nonché del satellite Wide-Field Infrared Survey Explorer (WISE) della NASA e di altri telescopi terrestri in infrarosso per individuare i sistemi stellari dotati di un disco di formazione planetaria.
Nel gruppo internazionale che ha condotto la ricerca figurano anche Beate Stelzer dell’Osservatorio Astronomico INAF di Palermo e Costanza Argiroffi dell’Università di Palermo e associata INAF. «Le stelle di piccola massa sono diventate i target primari per la ricerca di esopianeti», commenta Stelzer a Media INAF. «Per capire il processo di formazione dei pianeti è importante conoscere l’impatto che la radiazione X di queste stelle ha sul loro ambiente, e in particolare sul disco circumstellare, nel quale i pianeti si formano. Lo studio presentato indica che la rapidità con cui il disco delle stelle giovani viene distrutto dalla radiazione stellare dipende dalla massa della stella, nel senso che il disco viene rimosso in tempi più brevi in stelle di massa maggiore».
Queste stelle sono veramente giovani, soprattutto se confrontate con la nostra: 8 milioni di anni, contro i 4,5 miliardi di anni del Sole. Un’altra differenza fondamentale tra il Sole e le stelle oggetto del nuovo studio riguarda la loro massa: le stelle TWA pesano tra circa un decimo e la metà della massa solare. Inoltre, emettono meno luce.
Finora non era chiaro se la radiazione in raggi X emessa in grande quantità da questo tipo di stelle potesse influenzare la formazione dei pianeti nel disco circumstellare. Il nuovo studio evidenzia ora come la loro emissione in raggi X possa svolgere un ruolo cruciale nel determinare il tempo di sopravvivenza del disco protoplanetario. In particolare, i ricercatori ritengono che più massiccia è la stella e più i raggi X riscaldano il materiale circumstellare, facendolo evaporare nello spazio profondo.
Questo risulta in contrasto con i modelli teorici, stando ai quali generalmente la durata dei dischi circumstellari dovrebbe dipendere molto poco dalla massa della stella. I nuovi risultati per le gracili stelle TWA, secondo i ricercatori, evidenziano la necessità di rivisitare i modelli di evoluzione del disco protoplanetario, tenendo conto dell’intensità di emissione in raggi X per stelle di massa molto ridotta.
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “M Stars in the TW Hya Association: Stellar X-rays and Disk Dissipation“di Joel Kastner, David Principe, Kristina Punzi, Beate Stelzer, Uma Gorti, Ilaria Pascucci e Costanza Argiroffi, in pubblicazione su The Astronomical Journal