Circa il 10 percento delle galassie attive, nel cui nucleo si presume che risieda un buco nero supermassiccio, mostrano getti di gas che vengono emessi in direzioni opposte a partire dalle regioni centrali. Il gas caldo ionizzato viene collimato dalla presenza dei forti campi magnetici generati dalla rotazione del buco nero, che può raggiungere una massa di diversi miliardi di soli. Uno dei problemi dell’astrofisica, che dura ormai da quarant’anni, è quello di capire come mai alcuni getti sono così robusti e potenti da farsi strada nel mezzo intergalattico mentre altri sono più stretti e spesso finiscono nel nulla prima di raggiungere le zone più esterne della galassia. La risposta potrebbe far luce sui processi di evoluzione delle galassie e dei rispettivi buchi neri, dato che si ritiene che quei getti che non riescono a sopravvivere rallentino la formazione stellare e allo stesso tempo il rifornimento del gas che alimenta il buco nero nel corso del tempo. Questa ipotesi, dunque, potrebbe fornire nuovi indizi per comprendere anche gli altri tipi di getti, ad esempio quelli che sono prodotti dalle singole stelle e che gli astronomi rivelano come lampi gamma o pulsar. I risultati dello studio sono riportati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
«Se da un lato è stato possibile riprodurre fino a oggi getti stabili nelle simulazioni, dall’altro si è trovato che risulta molto più complicato descrivere ciò che causa la disgregazione dei getti», spiega Alexander Tchekhovskoy dell’Università della California, a Berkeley e Einstein postdoctoral fellow alla NASA, autore principale dello studio. «Per descrivere come mai alcuni getti sono instabili, i ricercatori hanno dovuto considerare, ad esempio, la presenza di eventuali stelle giganti rosse che si trovano nella traiettoria del getto che, essendo rifornito di una quantità maggiore di gas, diviene più pesante e instabile al punto da disgregarsi».
Partendo dal presupposto che gli enormi campi magnetici possono generare questi getti, Tchekhovskoy e il collega Omer Bromberg, precedentemente Lyman Spitzer Jr postdoctoral fellow alla Princeton University e ora alla Hebrew University di Gerusalemme, in Israele, hanno scoperto che la presenza di instabilità magnetiche nel getto può determinare il loro destino finale. In altre parole, se il getto non è così potente da farsi strada attraverso il gas circostante, allora esso diventerà stretto e collimato, assumendo cioè una forma che lo porta a piegarsi e perciò a disgregarsi nel tempo. Quando accade ciò, il gas caldo ionizzato, collimato lungo i campi magnetici, si riversa nella galassia formando una specie di “bolla” che provoca il riscaldamento della galassia. I getti più potenti sono invece più larghi e riescono a penetrare il gas circostante fino a raggiungere il mezzo interstellare. Ad ogni modo, i fattori determinanti sono la potenza del getto e quanto velocemente la densità del gas diminuisce con la distanza, che dipende tipicamente dalla massa e dal raggio del nucleo galattico.
La simulazione, che descrive bene le osservazioni, spiega quella che viene detta la “dicotomia morfologica Fanaroff-Riley dei getti”, un problema sollevato inizialmente nel 1974 da Bernie Fanaroff e Julia Riley. «Abbiamo dimostrato che un getto può disgregarsi senza la presenza di perturbazioni esterne, cioè a causa della fisica del getto stesso», dice Tchekhovskoy. «Il buco nero supermassiccio che risiede nel nucleo di queste gigantesche galassie si comporta come un’oliva snocciolata che ruota attorno a un asse», continua Tchekhovskoy. «Se infiliamo uno spaghetto attraverso il suo buco, a rappresentare il campo magnetico, a causa della sua rotazione l’oliva avvolgerà lo spaghetto come una molla. I campi magnetici ruotanti e così aggrovigliati agiscono come una sorta di ‘trapano flessibile’ che si fa strada attraverso il gas circostante».
La simulazione, che tiene conto solo delle interazioni tra il campo magnetico e le particelle di gas ionizzato, mostra che, se il getto non è abbastanza potente da attraversare il gas, il “trapano magnetico” si piega e, a causa di una serie di instabilità di natura magnetica, si spezza. Un esempio di questo tipo di getto viene osservato in Messier 87 (M87), uno dei casi più vicini alla Terra alla distanza di circa 50 milioni di anni luce, il cui buco nero centrale possiede una massa di circa 6 miliardi di soli. «Se fossimo in grado di cavalcare il getto, vedremmo inizialmente una specie di oscillazione a causa delle instabilità presenti nel campo magnetico», dice Tchekhovskoy. «Se questo movimento diventa abbastanza grande, il gas si propaga verso la parte finale del getto, facendolo disgregare. Mentre invece se le instabilità magnetiche crescono più lentamente, allora esse fanno sì che il gas si propaga gradualmente dalla base all’estremità del getto, rendendolo più stabile». I getti visibili nella galassia Cygnus A (Cyg A), che dista circa 600 milioni di anni luce, sono proprio un esempio di getti potenti che si stanno propagando nello spazio intergalattico.
Secondo Tchekhovskoy, i getti instabili contribuiscono a quel processo chiamato black-hole feedback, cioè una sorta di reazione del gas distribuito attorno al buco nero centrale che tende a rallentare la sua voracità e di conseguenza la sua crescita. I getti instabili rilasciano un’enorme quantità di energia nella galassia ospite, al punto da riscaldare il gas, impedendogli di cadere verso il buco nero. I getti, assieme ad altri processi fisici, mantengono effettivamente le dimensioni dei buchi neri supermasscci al di sotto di circa 10 miliardi di masse solari, anche se di recente alcuni astronomi dell’Università della California, a Berkeley, hanno identificato alcuni oggetti le cui masse sfiorano i 21 miliardi di soli (ne abbiamo parlato su Media INAF negli articoli Il gigante addormentato e Buchi neri extra large). Molto probabilmente, questi getti si formano e poi si arrestano, durano forse 10-100 milioni di anni, o almeno così viene suggerito da una serie di immagini di alcune galassie che mostrano più di un getto, uno dei quali appare vecchio e disgregato. Evidentemente, i buchi neri passano cicli di intensa attività che viene in parte interrotta dalla formazione occasionale di un getto instabile che alla fine porta via il gas di cui essi si alimentano.
Le simulaziono sono state realizzate con il computer Savio dell’Università della California, a Berkeley, il computer Darter presso il National Institute for Computational Sciences dell’Università del Tennesee, a Knoxville, e grazie ai computer Stampede, Maverick e Ranch situati presso il Texas Advanced Computing Center dell’Università del Texas a Austin. Per completare la simulazione sono state impiegate circa 500 ore utilizzando 2000 CPU, l’equivalente di un milione di ore per un normale PC portatile. I ricercatori stanno ora continuando ad affinare le loro simulazioni per includere anche gli effetti minimi della gravità e della pressione termica dovuta al mezzo interstellare e intergalattico.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo su MNRAS: A. Tchekhovskoy et al. 2016 – Three-dimensional Relativistic MHD Simulations of Active Galactic Nuclei Jets: Magnetic Kink Instability and Fanaroff-Riley Dichotomy
- Leggi il preprint su arXiv: Three-dimensional Relativistic MHD Simulations of Active Galactic Nuclei Jets: Magnetic Kink Instability and Fanaroff-Riley Dichotomy
Guarda l’animazione:
Recenti simulazioni numeriche che riproducono getti relativistici, generati da buchi neri supermassivi che risiedono nel nucleo delle galassie, mostrano come i campi magnetici possano farsi strada attraverso il gas circostante, come un potente cavatappi, ed emergere al di fuori della galassia, incanalando così il gas caldo nel mezzo interstellare (in alto). Getti meno potenti si consumano prima, rimanendo all’interno della galassia e, dato che i loro campi magnetici si disgregano, vi riversano gas caldo riscaldando la galassia stessa. Crediti animazione: Alexander Tchekhovskoy, UC Berkeley e Omer Bromberg, Hebrew University