Un oceano sotterraneo, ormai, non si nega più a nessuno. Persino là dalle parti della fascia di Kuiper. L’ultimo in ordine di apparizione si troverebbe – forse ancora oggi allo stato liquido – nel sottosuolo di Plutone. Già, quello stesso Plutone che, da quando gli è stato sottratto il titolo di pianeta, sta perfidamente facendo sfoggio d’una varietà geologica che mondi assai più blasonati si sognano. A rivelarne gli indizi, i dati inviati a Terra dalla sonda New Horizons della NASA. Dati dai quali emergono segni inequivocabili di attività geologica. In particolare, sottolinea ora uno studio in uscita su Geophysical Research Letters, attività tettonica, difficilmente spiegabile in altro modo.
«Quelle mostrate da New Horizons sono caratteristiche tettoniche estensionali, segno dunque che Plutone ha attraversato un periodo di espansione globale», spiega il primo autore dello studio, Noah Hammond, graduate student alla Brown University, negli Stati Uniti. «Un tipo d’espansione che potrebbe essere spiegato dalla presenza di un oceano sotterraneo che si stava lentamente ghiacciando».
Insomma, che l’oceano ci fosse è molto probabile, vista l’assenza di altre spiegazioni per i movimenti tettonici. Ma la domanda cruciale è: c’è ancora? Ed è su questo, sulla possibilità che sia tutt’ora lì sotto allo stato liquido, che si concentra lo studio di Hammond e colleghi. L’argomentazione che li porta a essere ottimisti – e a concludere che sì, ci sono buone probabilità che sia in parte ancora lì – si basa principalmente su un modello d’evoluzione termica. Modello che tenta di ricostruire i possibili movimenti di contrazione ed espansione del volume del pianeta nano indotti dai cambiamenti di fase del ghiaccio. Se l’oceano sotterraneo di Plutone si fosse congelato per sempre milioni – se non addirittura miliardi – di anni fa, ragionano gli scienziati, il volume dell’intero pianeta si sarebbe dovuto contrarre. Una contrazione globale della quale, però, la superficie di Plutone non mostra alcun segno, anzi: i dati di New Horizons suggeriscono, piuttosto, che si stia espandendo.
Un ragionamento che potrebbe suonare strano, questo della contrazione legata al ghiaccio: non dovrebbe avvenire il contrario, e cioè che quando l’acqua si congela il volume aumenta? Il segreto sta nel tipo di ghiaccio e nel tempo trascorso. Non tutto il ghiaccio è uguale: in presenza di temperature basse e pressione elevata, come all’interno di Plutone, un oceano che si fosse completamente ghiacciato si sarebbe dovuto trasformare rapidamente dal ghiaccio normale che tutti conosciamo a una forma particolare nota come ghiaccio II. Un ghiaccio dalla struttura cristallina più compatta, circa il 25 percento più densa, rispetto a quella del ghiaccio standard: ecco dunque che un oceano di ghiaccio normale, trasformandosi in un oceano di ghiaccio II, sarebbe venuto a occupare un volume più ridotto, producendo così quella contrazione globale della quale Plutone sembra non mostrare traccia.
Viceversa, se l’oceano si stesse ghiacciando solo ora (tenuto caldo, si suppone, da elementi radioattivi nel cuore del pianeta), trasformandosi dunque da acqua allo stato liquido a normale ghiaccio, come quando mettiamo una bottiglia in freezer, in questo caso sì che dovremmo assistere a un’espansione, come in effetti sembrano suggerire le caratteristiche geologiche della superficie di Plutone.
Intanto, per un oceano remoto che si aggiunge alla lista di quelli possibili, un altro non solo riceve una conferma ma “sale” anche un poco verso la superficie. È di qualche giorno fa, infatti, uno studio – sempre su Geophysical Research Letters – sul mare salato sotterraneo di Encelado, una delle lune di Saturno. La novità, in questo caso, sta nella profondità alla quale si troverebbe: non più dai 30-40 km delle regioni polari ai 60 km di quelle equatoriali, come si era dedotto dai primi dati inviati dalla sonda Cassini, bensì in media 20 km, e in particolare appena 5 km al di sotto del polo sud. Una novità importante per almeno tre motivi: indicherebbe la presenza di sorgenti di calore endogene, aumenterebbe la possibilità per eventuali missioni future di studiarne la morfologia via radar e, come non mancano d’osservare gli autori dello studio, presenterebbe condizioni più favorevoli di quanto si pensasse allo sviluppo della vita.
Tornando a Plutone, l’ipotesi dell’oceano liquido sotto la crosta dell’ex-nono pianeta lascia a bocca aperta non solo noi ma anche gli addetti ai lavori. «Per me è sorprendente. La possibilità che possano esserci vasti oceani d’acqua liquida su Plutone, così lontano dal Sole, e che questo possa accadere anche su altri oggetti della fascia di Kuiper, be’», ammette Hammond, «è assolutamente incredibile».
Per saperne di più:
- Leggi lo studio in uscita su Geophysical Research Letters “Recent Tectonic Activity on Pluto Driven by Phase Changes in the Ice Shell“, di Noah P. Hammond, Amy C. Barr e Edgar M. Parmentier
- Leggi su Geophysical Research Letters l’articolo “Enceladus’s internal ocean and ice shell constrained from Cassini gravity, shape and libration data“, di Ondrej Cadek, Gabriel Tobie, Tim Van Hoolst, Marion Masse, Gael Choblet, Axel Lefevre, Giuseppe Mitri, Rose-Marie Baland, Marie Behounkova, Olivier Bourgeois e Anthony Trinh