Molta della luce emessa da stelle e galassie non arriva fino a noi, poiché viene assorbita da grani di polvere interstellare, piccoli addensamenti di materia situati nello spazio che separa tra loro le stelle. L’esistenza di questa porzione oscura del cielo ha creato un enorme ostacolo per la comprensione di come nascono ed evolvono le galassie. Un team internazionale di astronomi ha pubblicato di recente un nuovo database, grazie al quale possiamo conoscere in dettaglio queste sorgenti invisibili, risalendo fino agli ultimi 12 miliardi di anni di storia del cosmo. Questo grande risultato è stato possibile grazie alle osservazioni realizzate dall’osservatorio spaziale Herschel dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).
Quando l’ESA ha lanciato nel 2009 il telescopio Herschel nello spazio ha fatto sì che, per la prima volta in assoluto, sia diventato possibile raccogliere informazione luminosa dal cosmo nella lunghezza d’onda dell’infrarosso. Negli ultimi sette anni, un team internazionale composto da oltre 100 astronomi ha analizzato l’enorme database di immagini raccolte da Herschel, chiamato Astrophysical Terahertz Large Area Survey (ATLAS), e sono usciti nelle ultime ore i cataloghi delle sorgenti rilevate.
Il catalogo ATLAS comprende circa mezzo milione di sorgenti nel lontano infrarosso e include un gran numero di galassie vicine, simili alla nostra, e galassie molto distanti, la cui luce ha viaggiato miliardi di anni prima di arrivare fino a noi. Le galassie in assoluto più distanti si trovano a 12 miliardi di anni luce, a prossime cioè al Big Bang, e sono così polverose da essere praticamente invisibili ai nostri occhi. Questi oggetti lontanissimi sono gli antenati delle galassie come la nostra.
«L’aspetto più interessante della nostra indagine è che copre quasi tutta la storia del cosmo: dai sistemi più violenti di formazione stellare dell’Universo primordiale, ricchi di polvere e gas, fino ai sistemi di stelle più recenti e vicini a noi», dice Elisabetta Valiante, ricercatrice presso la Cardiff University e autrice principale di uno degli articoli che descrivono i cataloghi.
L’enorme estensione della campagna osservativa ha permesso agli scienziati di studiare i cambiamenti che si sono verificati all’interno delle galassie cronologicamente più vicine alla nostra. Il team di scienziati ha dimostrato che anche senza dover indagare troppo indietro nel tempo, un miliardo di anni fa le galassie formavano stelle a un ritmo assai intenso, e contenevano più polvere di quanta non ne abbiano oggi.
«Siamo rimasti molto sorpresi nello scoprire che anche nel passato recente del cosmo è possibile individuare tracce di evoluzione galattica», spiega Nathan Bourne dell’Università di Edimburgo, primo autore di un altro articolo dedicato ai cataloghi. «I nostri risultati mostrano che la ragione di questa evoluzione risiede nel fatto che le galassie contenevano molta più polvere nel passato, e che l’Universo sta diventando sempre più pulito mano a mano che questa polvere si esaurisce».
I cataloghi e le mappe dell’Universo fino a ora nascosto alla nostra vista sono un grande successo per il team di Herschel. Grazie a questa immensa quantità di dati, gli scienziati che studiano la storia del cosmo e della sua evoluzione avranno uno strumento essenziale in più per svelare le tappe che ci hanno portati fino a qui.
«Uno dei fenomeni intriganti che abbiamo osservato grazie alla ricchezza e quantità dei nostri dati è che l’Universo ha un’evoluzione piuttosto veloce anche in tempi recenti», dice a Media INAF Elisabetta Valiante. «Secondo i modelli attuali di evoluzione, la quantità di gas e polvere nelle galassie non dovrebbe essere molto diversa oggi rispetto a 5 miliardi di anni fa. Invece noi osserviamo che oggi c’è molta meno polvere di allora e quindi probabilmente anche meno gas, essendo le due quantità strettamente correlate. Non sappiamo esattamente a cosa questo sia dovuto, ma ci dev’essere qualcosa che interrompe l’approvvigionamento del gas che non è previsto dai modelli».
«Prima di Herschel conoscevamo solo poche centinaia di sorgenti simili nell’Universo più remoto, che potevamo vedere in una sorta di bianco e nero», spiega Loretta Dunne, ricercatrice presso la Cardiff University e membro del team. «Herschel, con i suoi cinque filtri, ci ha regalato immagini in technicolor, e questo è un dettaglio assai prezioso, perché i colori delle galassie ci raccontano quanto sono distanti e quali sono le loro temperature. Ora abbiamo a nostra disposizione mezzo milione di galassie che possiamo sfruttare per tracciare la formazione delle stelle nell’Universo».
Il progetto ATLAS è uno dei tasselli fondamentali del programma Herschel Extragalactic Legacy Project, che unisce i dati raccolti dal telescopio spaziale Herschel e li combina ai risultati delle principali campagne osservative realizzate da altri osservatori.
«Sebbene Herschel abbia realizzato la sua ultima osservazione nel 2013, le generazioni attuali e future di astronomi potranno fare tesoro dei dati raccolti da questo strumento, e cataloghi come ATLAS saranno indispensabili per rintracciare le tappe evolutive del nostro Universo», aggiunge Göran Pilbratt, membro del team Herschel.
Entrambi gli articoli scientifici che riportano questi cataloghi (Valiante E. et al 2016 e Bourne N. et al 2016) sono stati sottoposti per la pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.