Dopo aver brillato per molti milioni di anni, le stelle concludono la loro carriera in maniera scoppiettante, secondo due modalità principali: le stelle di massa molto grande esplodono molto violentemente come supernove, mentre le stelle di massa più piccola danno origine a nubi di gas ionizzato in espansione, conosciute con il nome storico di nebulose planetarie.
In entrambi i casi, gli elementi chimici sintetizzati all’interno delle stelle vengono sparsi nel mezzo interstellare: un’inseminazione vitale per le generazioni successive di astri e anche per lo sviluppo della vita stessa. Per questo motivo, conoscere la composizione esatta dei gas espulsi dalle stelle morenti è importante per comprendere l’evoluzione chimica della nostra galassia e, per estensione, dell’universo intero.
L’ultimo contributo a questa comprensione viene da immagini ottenute grazie al filtro blu sintonizzabile dello strumento Osiris al Gran Telescopio Canarias (GTC) all’Osservatorio del Roque de los Muchachos, sull’isola di La Palma, alle Canarie. Il gruppo, guidato da Jorge Garcia Rojas, ricercatore dello IAC, Instituto de Astrofísica de Canarias, ha pubblicato il proprio studio sulla rivista Astrophysical Journal Letters.
«Il gas, componente principale del mezzo insterstellare, può essere osservato perché i suoi atomi sono ionizzati dai fotoni emessi dalle stelle calde, dice Garcia Rojas. «Questo fa in modo che il gas emetta luce in un intervallo di lunghezze d’onda, comprese quelle visibili. A seconda degli atomi che lo compongono, riscontriamo quindi colori differenti nella nebulosa».
Storicamente, spiega il ricercatore, le percentuali di differenti atomi presenti nel gas interstellare (le cosiddette abbondanze) sono state misurate utilizzando l’impronta spettrale di ogni ione, ovvero l’insieme caratteristico delle sue linee spettrali. Esistono fondamentalmente due tipi di linee spettrali: quelle prodotte dalle collisioni fra gli atomi o gli ioni e gli elettroni nel gas circostante, che sono chiamate linee di collisione e che risultano molto luminose per elementi quali ossigeno, azoto, neon; quelle prodotte invece quando gli ioni catturano elettroni liberi, che sono chiamate linee di ricombinazione e che sono luminose solo per quei gas con le abbondanze più alte nello spazio interstellare: idrogeno ed elio.
«Da più di 70 anni sappiamo che le deboli linee di ricombinazione degli ioni di elementi come ossigeno e carbonio ci forniscono i valori per loro abbondanze», continua García Rojas. «Tuttavia, queste abbondanze risultano molto più grandi rispetto a quelle ottenute utilizzando le linee di collisione, nonostante che le linee di collisione siano da mille a 100 mila volte più luminose rispetto alle linee di ricombinazione. Questa discrepanza ha messo costantemente in dubbio uno dei metodi più utilizzati per misurare le abbondanze chimiche nell’universo».
La causa di questa discrepanza non è affatto chiara e, finora, nessuna delle ipotesi proposte per risolvere il problema è risultata in grado di spiegare i dati osservativi in modo soddisfacente. «Uno degli scenari proposti», commenta Romano Corradi, direttore del GTC, «è la presenza di un componente nel gas diverso da quella che normalmente troviamo, povero in idrogeno e ricco di elementi più pesanti, come ossigeno e carbonio. Questa idea è stata usata per spiegare le osservazioni di vari oggetti, ma l’origine di questa componente del gas è ancora un mistero».
«Nel corso degli ultimi anni, il nostro gruppo», aggiunge David Jones, astrofisico presso l’IAC, «ha scoperto che le nebulose planetarie con le più grandi discrepanze nelle loro abbondanze sono associate solitamente con stelle binarie centrali, passate attraverso una fase con un involucro comune, dove la viscosità ha portato le stelle molto vicine l’uno all’altra. Il nostro studio suggerisce che, almeno per questo tipo di stelle, l’evoluzione dell’oggetto binario centrale ha causato l’espulsione di un componente del gas che è diverso dal componente principale».
Per cercare di corroborare questa teoria, è stata ottenuta con il telescopio da 10 metri GTC l’immagine dell’emissione di una nebulosa planetaria scelta all’uopo. Queste emissioni sono molto deboli, e per isolarle occorrono strumenti specializzati su grandi telescopi. «Per riuscirci», illustra un altro degli autori del nuovo studio, Antonio Cabrera Lavers, capo astronomo al GTC, «abbiamo usato per la prima volta il filtro blu regolabile dello strumento Osiris per prendere un’immagine “profonda” centrata sull’emissione dalle linee di ricombinazione di uno degli ioni dell’ossigeno nella nebulosa planetaria NGC 6778».
«NGC 6778 è una delle nebulose planetarie con le linee di ricombinazione più brillanti mai osservate», precisa Hektor Monteiro, dell’Università federale di Itajubá, in Brasile. «Abbiamo trovato che la distribuzione spaziale di questa emissione non coincide con la distribuzione spaziale delle linee di collisione. Questo risultato è molto importante perché è la prima volta che sono state distinte, in un’immagine diretta, due diversi componenti del gas per lo stesso ione. La differente dipendenza da temperatura e densità tra linee di ricombinazione e linee di collisione permette di dedurre che la frazione di gas più ricca in elementi metallici [più pesanti dell’elio; NdR] è molto più fredda e densa rispetto alla frazione principale del gas presente nella nebulosa».
«Questo risultato», conclude Pablo Rodriguez Gil dell’Università di La Laguna, «testimonia ulteriormente l’importanza dell’evoluzione e dell’interazione delle stelle binarie per la comprensione di molti aspetti dell’astrofisica, anche per argomenti che sono apparentemente indipendenti, quale appunto l’evoluzione chimica dell’universo».
Per saperne di più:
- “Imaging the elusive H-poor gas in the high ADF planetary nebula NGC 6778“, di J. García-Rojas, R. L. M. Corradi, H. Monteiro, D. Jones, P. Rodríguez-Gil, A. Cabrera-Lavers, pubblicato su ApJ Letters.