L’acqua è da sempre considerata la chiave dell’evoluzione della vita sulla Terra. Gli scienziati, alla ricerca di condizioni adatte alla vita in altri luoghi dell’Universo, cercano innanzitutto di comprendere se siano rilevabili o meno tracce di acqua sui corpi celesti studiati. Tra tutti Marte, a partire dalle prime osservazioni dei controversi “canali” di Schiaparelli e poi con varie missioni spaziali che hanno offerto indizi dell’esistenza passata di acqua allo stato liquido sulla sua superficie, è da sempre un osservato speciale.
Grazie al Gamma Ray Spectrometer a bordo della sonda Mars Odyssey della NASA, un team di scienziati della Louisiana State University (LSU) ha redatto uno studio su larga scala delle tracce di solfati di ferro presenti sulla superficie marziana. Lo studio è stato pubblicato su Journal of Geophysical Research: Planets.
Studi precedenti hanno evidenziato lungo i costoni dei crateri marziani quantità significative di sali perclorati. Nel 2008, fu il lander della NASA Phoenix a identificare perclorato di sodio in alcuni campioni di suolo raccolto su Marte. La presenza di questi sali è importante perché essi riescono a mantenere l’acqua allo stato liquido anche a temperature inferiori allo zero, assorbendo umidità dall’atmosfera. Tendenzialmente la loro presenza viene associata ad acqua salmastra con un ph moderato. Gli scienziati, grazie alla mole di dati raccolti, hanno potuto realizzare una mappa di una porzione di terreno marziano grande più o meno come gli Stati Uniti, comprendendo che la chiave per spiegare il grado di idratazione del suolo del pianeta rosso poteva risiedere nella sua differente composizione. I ricercatori hanno scoperto che la maggior parte del terreno di Marte contiene solfati di ferro che portano acqua legata chimicamente, tipicamente delle salamoie acide. Questa nuova osservazione suggerisce che i solfati di ferro possono svolgere un ruolo importante nell’idratare il suolo marziano.
Questi risultati sono stati possibili grazie alla sensibilità del Gamma Ray Spectrometer di Mars Odyssey, che è in grado di studiare la composizione del suolo fino ad una profondità di mezzo metro, più a fondo di quanto qualunque altra missione in orbita o sul terreno fino ad oggi avesse mai potuto indagare. Nicole Button, del Dipartimento di Geologia e Geofisica della LSU e coautrice dello studio, dice in proposito «Si tratta di un passo avanti che contribuisce a ricostruire la storia dell’acqua su Marte, da sempre la strada per la nostra ricerca di tracce di vita sul pianeta». Gli autori hanno ampliato un lavoro precedente, che esploravano l’associazione chimica delle acque con zolfo sull’intera superficie di Marte. Sono anche riusciti ad evidenziare come nelle varie aree i cambiamenti nel livello di idratazione del suolo varino in base all’associazione tra l’idrogeno e zolfo. Lo studio ha rivelato che l’antico emisfero sud sembrerebbe aver avutop le caratteristiche per contenere acqua chimicamente legata, mentre è improbabile che ne siano riscontrabili tracce nelle regioni settentrionali di Marte.
La firma d’una forte associazione è ora rafforzata, per l’emisfero meridionale, rispetto al lavoro precedente, anche se i solfati diventano meno idratati procedendo verso sud. Differenze di spessore del suolo, presenza di ghiacci sotterranei, i moti atmosferici e la luce solare, sono tutti elementi che possono contribuire alle differenze riscontrate nei due emisferi con riguardo alla progressione dell’idratazione del suolo lungo le latitudini.
I ricercatori hanno considerato diverse ipotesi alla luce delle loro osservazioni, che suggeriscono una presenza significativa di terreni ricchi di solfato di ferro, più “umidi” rispetto al terreno marziano, tipicamente “essiccato”. Ed è proprio in questo tipo di terreno umido che si è imbattuto casualmente il rover Spirit, mentre si trascinava una ruota rotta attraverso il terreno nella zona Paso Robles, sulle Columbia Hills, nei pressi del cratere Gusev. L’ipotesi al momento più accreditata per spiegare l’origine di questo terreno è quella della presenza di attività idrotermale che darebbe origine a depositi umidi ricchi in solfato su Marte, attività simile a quella che si trova lungo i fianchi dei vulcani delle Hawaii attivi sulla Terra. Ipotesi alternativa è quella dell’efflorescenza, lo stesso fenomeno per cui sulla Terra di creano depositi di sale sui muri umidi dei piani interrati, che può aver contribuito alla creazione di una certa quantità di solfati ferrosi nel corso delle ere geologiche. Una terza ipotesi è quella che coinvolge gas acidi rilasciati in prossimità di siti vulcanici, tipicamente come nebbia acida, e dispersi nell’atmosfera, dove avrebbero interagito successivamente con i componenti più sottili del suolo, diventando la fonte di diffuse concentrazioni di sali di solfato ferroso.
Le nebbie acide e l’attività idrotermale restano al momento le ipotesi più accreditate. I siti di attività idrotermale, grazie allo scambio tra sostanze presenti negli strati profondi del sottosuolo e l’atmosfera, vengono ritenuti siti di estrema rilevanza, sopratutto per poter rispondere al quesito di quale sia stata, nel corso delle ere, la storia di Marte.
Per saperne di più:
- Leggi sul Journal of Geophysical Research: Planets l’articolo “The association of hydrogen with sulfur on Mars across latitudes, longitudes and compositional extremes”, di Suniti Karunatillake, James J. Wray, Olivier Gasnault, Scott M. McLennan, A. Deanne Rogers, Steven W. Squyres, William V. Boynton, J. R. Skok, Nicole E. Button e Lujendra Ojha