RESPONSABILE LA GRANDE MACCHIA ROSSA

Come ti riscaldo l’atmosfera di Giove

Un team internazionale di scienziati ha osservato Giove nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso, scoprendo che le temperature più elevate misurate in alta quota corrispondevano alla posizione della Grande Macchia Rossa, l’uragano plurisecolare del gigante gassoso. I risultati sull’ultimo numero di Nature

     27/07/2016
I turbolenti flussi atmosferici misurati sopra alla Grande Macchia Rossa di Giove sembrano essere responsabili del riscaldamento degli strati più alti della sua atmosfera, arrivando fino a 800 km oltre la superficie visibile ad occhio nudo. Crediti: Dillon Yothers e Luke Moore

I turbolenti flussi atmosferici misurati sopra alla Grande Macchia Rossa di Giove sembrano essere responsabili del riscaldamento degli strati più alti della sua atmosfera, arrivando fino a 800 km oltre la superficie visibile ad occhio nudo. Crediti: Dillon Yothers e Luke Moore

Le temperature misurate a latitudini medie e basse nelle atmosfere dei pianeti giganti sono qualche centinaio di gradi più alte di quanto possa essere spiegato con il solo riscaldamento da parte del Sole. Molti modelli teorici hanno proposto fonti alternative per spiegare la discrepanza di temperatura, ma nessuno fino ad ora era riuscito a dare risultati convincenti. Uno studio pubblicato oggi sulla rivista Nature da un team internazionale di ricercatori dimostra che la Grande Macchia Rossa di Giove è in grado di fornire la fonte di energia necessaria per riscaldare l’atmosfera del pianeta ai valori di temperatura osservati.

La luce solare riscalda l’atmosfera terrestre fino a quote anche molto distanti dalla sua superficie rocciosa. Giove dista dal Sole più di cinque volte rispetto alla Terra, e nonostante questo la parte superiore della sua atmosfera ha temperature medie paragonabili a quelle che si trovano da noi. Le possibili fonti di energia responsabili di questo riscaldamento extra sono rimaste a lungo incomprensibili per gli scienziati che studiano i processi in corso nel sistema solare esterno.

«Una volta escluso il riscaldamento solare, abbiamo effettuato osservazioni allo scopo di mappare la distribuzione del calore su tutto il pianeta alla ricerca di eventuali anomalie di temperatura che potessero indirizzarci verso la fonte di energia», spiega James O’Donoghue, ricercatore presso la Boston University e primo autore dell’articolo.

Rappresentazione schematica dei flussi provenienti dalle turbolenze della Grande Macchia Rossa. Crediti: Karen Teramura, UH IfA, James O’Donoghue

Rappresentazione schematica dei flussi provenienti dalle turbolenze della Grande Macchia Rossa. Crediti: Karen Teramura, UH IfA, James O’Donoghue

Gli astronomi misurano la temperatura di un pianeta osservandolo nella banda elettromagnetica dell’infrarosso (IR). A quelle lunghezze d’onda, su Giove, è possibile arrivare a quote pari a 800 km oltre le nubi che possiamo vedere con i nostri occhi. Esaminando i dati raccolti grazie al telescopio della NASA Infrared Telescope Facility, i ricercatori hanno scoperto che le temperature ad alta quota erano molto maggiori di quanto previsto, specialmente nell’emisfero sud.

«Abbiamo notato subito che le temperature più alte corrispondevano alla posizione della Grande Macchia Rossa», dice O’Donoghue. «A questo punto non restava che capire se si trattava di un’incredibile coincidenza o di un importante indizio». La Grande Macchia Rossa è una delle strutture più spettacolari di tutto il sistema solare. Scoperta nei primi anni del XVII secolo, poco dopo l’introduzione dell’uso del telescopio, è caratterizzata da un sistema vorticoso di gas che continua ad imperversare nell’atmosfera gioviana almeno da allora. Questo immenso uragano ha cambiato forma e colore nel corso dei secoli, e si estende per una lunghezza pari a circa tre diametri terrestri. I venti che attraversano la macchia impiegano sei giorni per completare un’intera rotazione. Anche Giove ruota molto rapidamente, compiendo una rotazione su se stesso in poco meno di dieci ore.

Un’immagine ottenuta grazie al telescopio Infrared Telescope Facility. Le regioni luminose ai poli corrispondono alle emissioni aurorali, alle medie e basse latitudini il contrasto è stato aumentato per migliorare la visibilità. La linea scura verticale al centro dell’immagine indica la posizione della fessura dello spettrometro utilizzato, che è stato allineato all’asse di rotazione di Giove. Crediti: J. O'Donoghue, NASA/Infrared Telescope Facility (IRTF)

Un’immagine ottenuta grazie al telescopio Infrared Telescope Facility. Le regioni luminose ai poli corrispondono alle emissioni aurorali, alle medie e basse latitudini il contrasto è stato aumentato per migliorare la visibilità. La linea scura verticale al centro dell’immagine indica la posizione della fessura dello spettrometro utilizzato, che è stato allineato all’asse di rotazione di Giove. Crediti: J. O’Donoghue, NASA/Infrared Telescope Facility (IRTF)

«La Grande Macchia Rossa è una formidabile fonte di energia per riscaldare gli strati superiori dell’atmosfera di Giove, ma non sapevamo che potesse avere effetto anche a così alta quota», spiega Luke Moore, ricercatore presso il Centre for Space Physics della Boston University e co-autore dello studio.

Risolvere un problema energetico di questo tipo su un pianeta lontano come Giove ha numerose implicazioni all’interno del nostro sistema solare e nel caso di pianeti in orbita attorno ad altre stelle. Come sottolineato dagli autori dell’articolo, il problema delle temperature insolitamente elevate a grandi distanze dal disco visibile del pianeta non riguarda solo Giove, ma anche Saturno, Urano e Nettuno, e molto probabilmente tutti i pianeti giganti presenti in altri sistemi planetari.

«Il trasferimento di energia in alta quota nelle atmosfere planetarie era già stato simulato, ma fino ad ora non era supportato da osservazioni», dice O’Donoghue. «Le temperature elevate che abbiamo trovato al di sopra della macchia rossa di Giove sembrano essere la prova schiacciante che ci mancava».

«Giove è un tema caldo in questo momento, anche grazie alla sonda Juno, appena arrivata in orbita attorno al pianeta», dice Henrik Melin, ricercatore presso l’Università di Leicester e co-autore dello studio. «Leicester ospita l’unico gruppo di ricerca del Regno Unito ad essere formalmente coinvolto in questa missione e nella missione JUICE, che sarà lanciata nel 2022. Siamo entusiasti per i risultati scientifici che porteranno queste missioni».

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