Le pulsar, i relitti rotanti di stelle massicce ormai al termine della loro vita, aggiungono al proprio ricco curriculum una novità: possono essere utilizzate come GPS spaziali. Secondo uno studio pubblicato di recente su Experimental Astronomy, le pulsar possono fornire la posizione di un oggetto in una particolare direzione dello spazio con una precisione pari a 2 km. I vantaggi di questa tecnica sono innumerevoli e vanno da una maggiore autonomia dei veicoli spaziali a una drastica riduzione dei costi operativi per le singole missioni.
La tecnologia attuale che usiamo per tracciare le posizioni delle sonde in viaggio nello spazio ha numerosi limiti, sia per quanto riguarda i costi sia per il numero degli oggetti che è in grado di monitorare. Il nuovo metodo, sviluppato da ricercatori del National Physical Laboratory e dell’Università di Leicester, è in grado di operare in maniera autonoma, aumentando il numero e le capacità delle missioni spaziali.
Nel loro articolo, gli scienziati spiegano che per rivelare la posizione di un veicolo spaziale in direzione di una particolare pulsar è sufficiente dotare la sonda di un piccolo telescopio a raggi X, e questo calcolo verrà effettuato autonomamente. Le pulsar emettono raggi X ruotando su loro stesse, e la precisione con cui si ripetono gli impulsi è valsa loro la fama di orologi spaziali, già utilizzati, ad esempio, per la caccia alle onde gravitazionali a bassa frequenza.
Le simulazioni effettuate dai ricercatori hanno utilizzato dati quali le posizioni delle pulsar e la distanza di una sonda dal Sole. Lo studio è volto a valutare la fattibilità del progetto di monitoraggio spaziale ed è stato intrapreso per conto dell’Agenzia Spaziale Europea. I ricercatori hanno testato la possibilità di sfruttare la triangolazione con le pulsar utilizzando un telescopio ai raggi X e un software di analisi automatica di posizione, velocità e tempi di arrivo dei segnali. Sebbene la maggior parte dei telescopi che lavorano nella banda dei raggi X siano più grandi di quelli proposti, e offrano quindi precisioni più elevate, il team ha preferito uno strumento più piccolo e leggero, in grado di raggiungere accuratezze sufficienti all’orientamento nello spazio della sonda.
I risultati ottenuti sono più che incoraggianti. A distanza di 30 unità astronomiche, vale a dire circa la distanza di Nettuno dalla Terra, è possibile raggiungere una precisione da 2 a 5 km in direzione di una pulsar, osservandola per un tempo di esposizione, rispettivamente, di dieci ore o di un’ora. Puntando il telescopio su tre pulsar si può ottenere una stima 3D della posizione con un’incertezza di 30 km.
Questa tecnica rappresenta un enorme passo avanti rispetto agli attuali metodi di navigazione terrestri come il Deep Space Network (DSN) e lo European Space Tracking (ESTRACK). I vantaggi principali risiedono nell’autonomia della sonda, e nei tempi ridotti di elaborazione e stima della posizione. Con questo sistema il veicolo spaziale può permettersi di restare senza contatti con la Terra per mesi o addirittura anni, e questo alleggerisce il carico di lavoro per DSN e ESTRACK, che sono in grado di monitorare solo un piccolo numero di sonde alla volta. In questo modo aumenta considerevolmente il numero di manovre che possiamo compiere nello spazio profondo. Il fatto poi che la sonda sia capace di effettuare misurazioni e analisi dei dati raccolti evita il ritardo dovuto al tempo che occorre per trasferire un segnale da una sonda alla Terra, che, nel caso di distanze molto grandi, può arrivare a diverse ore.
«La nostra capacità di esplorare il Sistema solare è aumentata enormemente negli ultimi decenni: missioni come Rosetta e New Horizons ne sono l’esempio», dice Setnam Shemar, scienziato del NPL e primo autore dell’articolo. «Eppure, la capacità di navigazione di queste sonde può diventare un fattore limitante per le nostre ambizioni esplorative. Il costo per mantenere gli attuali sistemi di comunicazione terrestri basati su onde radio è molto elevato, e la loro capacità di comunicazione è limitata a un piccolo numero di veicoli spaziali alla volta. L’utilizzo delle pulsar come un sistema GPS permette di ottenere allo stesso tempo l’autonomia delle sonde e una maggiore capacità di spostamento nel Sistema solare esterno. L’utilizzo di queste stelle morte ha il potenziale per diventare un nuovo metodo per la navigazione nello spazio profondo, in futuro anche al di là del Sistema solare».
«Fino ad ora il concetto di navigazione con le pulsar era visto come pura teoria», aggiunge John Pye, ricercatore dell’Università di Leicester e co-autore dello studio. «Questa simulazione utilizza tecnologia alla nostra portata e dimostra che siamo in grado di metterla in pratica. Il telescopio a raggi X che proponiamo può essere facilmente lanciato nello spazio, grazie alle sue dimensioni ridotte e al suo peso limitato. Verrà utilizzato per una missione che ha per obiettivo Mercurio, nel 2018. Stiamo entrando in una nuova era dell’esplorazione spaziale, e questo lavoro pone le basi per una nuova tecnologia in grado di portarci sempre più lontano».
Per saperne di più:
- Leggi su Experimental Astronomy l’articolo “Towards practical autonomous deep-space navigation using X-Ray pulsar timing” di Setnam Shemar, George Fraser, Lucy Heil, David Hindley, Adrian Martindale, Philippa Molyneux, John Pye, Robert Warwick e Andrew Lamb