Guardarli e studiarli, seppure da vicino, non ci basta più. L’interesse per gli asteroidi cresce e con esso il numero di missioni spaziali rivolte a questi corpi celesti. La missione Dawn della NASA è ancora in pieno svolgimento attorno a Cerere, con la sonda e i suoi strumenti – tra cui lo spettrometro italiano VIR – operativi e un’altra, ovvero OSIRIS-REx (Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, Security-Regolith Explorer) sempre guidata dall’agenzia spaziale statunitense, si prepara a decollare. Data del lancio: 8 settembre prossimo, dalla base di Cape Canaveral in Florida. Obiettivo: raggiungere e studiare l’asteroide Bennu. Ma con una grossa novità: recuperare campioni della sua superficie da riportare a Terra per essere poi analizzati. Il bottino non sarà eclatante in verità, nel bagagliaio della sonda c’e spazio per non più si due chilogrammi di souvenir extraterrestri. Ma pur sempre un primo, concreto passo verso quella che sarà la missione ARM, ancora più ambiziosa e da svolgersi entro il prossimo decennio, stando sempre ai piani della NASA. L’Asteroid Redirect Mission (in breve ARM, appunto) come sintetizza il suo nome, si propone di inviare nello spazio un veicolo robotizzato con cui agganciare letteralmente un asteroide, trascinarlo su un’orbita stabile attorno alla Luna e lì raggiungerlo con un equipaggio umano, per esplorarlo e recuperare pezzi di esso da riportare sul nostro pianeta. È un interesse, quello per gli asteroidi, che parte certo dal desiderio scientifico di conoscere questi antichissimi oggetti, veri e proprio fossili del Sistema solare, ma che è sempre più “arricchito” da altre mire, decisamente più venali: lo sfruttamento commerciale di quei corpi celesti attraverso vere e proprie attività minerarie. Dentro alcuni di quei grossi sassi spaziali, grigi e sgraziati, si accumulano infatti interessanti (a livello di ritorno economico) quantità di metalli nobili e Terre Rare, sempre più richiesti qui sul nostro pianeta.
Già un paio di compagnie private si sono affacciate a questa nuova e a dire il vero assai rischiosa impresa. Quattro anni fa è stata fondata la Planetary Resources, finanziata tra gli altri da James Cameron (il regista di Titanic e Avatar), dai dirigenti di Google Larry Page e Eric Shmidt e dal fondatore di Virgin Group Richard Branson. Alla Planetary Resources si è affiancata la Deep Space Industries, nata con lo stesso obiettivo di sfruttare tramite robot e sonde automatiche gli asteroidi, recuperando i loro minerali. E proprio questa compagnia ha appena annunciato i suoi piani per la prima missione estrattiva interplanetaria. Il suo nome (che per sicurezza è stato anche registrato) è Prospector-1. A precederla, nel 2017, sarà una missione sperimentale in orbita terrestre bassa (Prospector-X), che farà da apripista per testare le tecnologie e le competenze necessarie a fare il grande balzo verso lo spazio profondo e gli asteroidi di tipo near-earth che lo popolano, vero obiettivo di Prospector-1.
Prospector-1 è un piccolo veicolo spaziale del peso di appena 50 kg compreso il combustibile che utilizza un sistema di propulsione a vapor d’acqua surriscaldato. Una scelta nata dalla constatazione che sarà proprio l’acqua il primo prodotto estratto dagli asteroidi, e questo permetterà alla mini-sonda di fare “il pieno” direttamente nello spazio.
“Nel corso del prossimo decennio, inizieremo il recupero di risorse dagli asteroidi”, dice fiducioso Daniel Faber, Amministratore Delegato di Deep Space Industries. “Stiamo cambiando il paradigma delle operazioni commerciali nello spazio, da quello in cui i nostri clienti portano tutto con sé, a quello dove quel che servirà loro lo troveranno proprio lì, sulla loro mèta”.