Abbronzate, tutte chiazze, pellirosse un po’ paonazze son le ragazze che prendono il Sole. Ma certo non sanno che un velo sottilissimo della loro sudata abbronzatura è dovuto a una tiepida luce che viene da lontano, lontanissimo. Non dalla luna cantata da Mina, né dai pianeti e dalle polveri del Sistema solare, nemmeno dalla galassia che abitiamo, la Via Lattea. No. È una vera e propria tintarella extragalattica.
Mentre siete comodamente adagiati sul vostro lettino al mare, il vostro corpo viene bombardato da una scarica di fotoni che possiamo ragionevolmente stimare in un numero di 10 alla 36. Un sestilione di particelle di luce, al secondo s’intende. La stragrande maggioranza di questa calda energia che vi bacia la pelle, lo sappiamo, arriva dritta dritta dalla nostra stella, il Sole. Otto minuti di viaggio attraverso il Sistema solare ed eccola qui a solleticare la vostra melanina. Una piccolissima percentuale di luce ha però viaggiato miliardi di anni attraverso l’Universo prima di concludere la sua esistenza sulle nostre cellule epiteliari: fotoni di provenienza extragalattica, che hanno cominciato il loro viaggio miliardi di anni luce da qui, dall’altra parte del cielo.
Una ricerca dell’International Centre for Radio Astronomy Research (ICRAR) ha censito con misure accurate questa luminosa popolazione in viaggio dalla notte dei tempi, registrandone gli esemplari in un ampio intervallo di lunghezze d’onda, dai micron ai millimetri. In risultato? Un centesimo di miliardo della vostra abbronzatura è di origine extragalattica.
Dieci miliardi di fotoni al secondo, direttamente dallo spazio intergalattico, colpiscono giorno e notte la vostra pelle che abbiate messo la crema oppure no. «Ovviamente la maggior parte dei fotoni che arriva sul nostro pianeta proviene dal Sole, sia direttamente che di riflesso, per via delle polveri e dei corpi che popolano il nostro Sistema solare», spiega Simon Driver, astrofisico ICRAR e primo autore dello studio appena pubblicato. «Tuttavia non possiamo dimenticare che una porzione infinitesimale della luce che ci “piove” addosso proviene da regioni del cielo che si trovano oltre la galassia che abitiamo, la Via Lattea. È quello che gli astrofisici chiamano il fondo luminoso extragalattico».
Pacchetti di luce forgiati nel nucleo di stelle di galassie lontane o nel vortice di un buco nero. Fotoni che oggi possiamo misurare combinando i dati raccolti dalla flotta di telescopi spaziali su cui possiamo fare affidamento. Nasce così, dalla University of Western Australia, l’idea di mettere insieme le osservazioni dei telescopi di mezzo mondo come il NASA Galaxy Evolution Explorer and Wide-field Infrared Survey Explorer, i telescopi spaziali Hubble e Spitzer, l’osservatorio spaziale Herschel dell’Agenzia Spaziale Europea, la Galaxy And Mass Assembly survey australiana: una collezione di tutte le migliori “fotografie” a disposizione del fondo luminoso extragalattico.
«10 miliardi di fotoni al secondo possono sembrare una quantità spaventosa, ma è un numero bassissimo se confrontato con quel 10 alla 36 che abbiamo come totale dell’operazione», sottolinea il professor Driver.
«Tanto più che è l’Universo stesso a fornirci una protezione solare sufficiente a sopportare questa extra tintarella extragalattica», gli fa eco il professor Rogier Windhorst della Arizona State University. Circa la metà della luce ultravioletta proveniente da quelle galassie lontane lontane si è già convertita a lunghezze d’onda meno dannose durante il tragitto che l’ha portata a noi. L’Universo ci regala insomma una protezione di fattore 2 per difenderci da questa “vecchissima” luce. Potete dunque crogiolarvi al sole senza troppi pensieri. Ricordate la crema solare, evitate le ore più calde e uscite la notte a godervi le stelle.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo “Extra-galactic background light measurements from the far-UV to the far-IR from deep ground and space-based galaxy counts“, di Simon P. Driver, Stephen K. Andrews, Luke J. Davies, Aaron S.G. Robotham, Angus H. Wright, Rogier A. Windhorst, Seth Cohen, Kim Emig, Rolf A. Jansen e Loretta Dunne