Immagino che anche quest’estate non abbiate resistito al richiamo delle stelle cadenti e abbiate cercato un posto lontano dalle luci per godervi lo spettacolo. Temo, però, che vi siate rapidamente resi conto che lungo l’orizzonte c’è sempre qualche sorgente di luce, più o meno intensa, che rovina il buio della notte perché crea un fastidioso alone luminoso. Se avete in mente le foto della Via Lattea prese da zone desertiche dove il cielo è veramente nero, sarete rimasti delusi dal bagliore lattiginoso che siete riusciti a vedere dalla vostra postazione. Consolatevi, non è colpa vostra: vi siete scontrati con il fenomeno dell’inquinamento luminoso.
I nostri occhi vedono una sorgente luminosa quando il segnale supera il rumore di fondo. Gli aloni luminosi prodotti dalle luci dei centri abitati, dei centri commerciali, o dall’illuminazione sbagliata dei monumenti alzano il livello del rumore di fondo del cielo e questo fa scomparire tutti i segnali più deboli. Si tratta di una subdola forma di inquinamento che colpisce tutto il mondo civile dove una frazione dell’abbondante energia elettrica disponibile viene usata per illuminare la notte e farci superare l’atavica paura del buio. Non tutta la luce prodotta dai nostri lampioni viene diretta verso terra, dove effettivamente serve, un buon 30 percento sfugge in tutte le direzioni, quindi anche verso il cielo. Ce ne accorgiamo quando guardiamo le foto notturne fatte dagli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale. L’Italia di notte è luminosamente fotogenica: la pianura Padana è un unico mare di luci e così Lazio e Campania e, in generale, tutte le coste. Questa abbondanza di luce parassita è la sorgente dell’inquinamento luminoso che, oltre a rappresentare un inutile spreco di energia, ci priva della visione del cielo notturno. E il cielo è una parte importante della nostra cultura ed è nostro dovere cercare di preservarlo. L’Italia non è l’unica nazione in queste condizioni. In molte parti del mondo industrializzato e ad alta densità di popolazione la situazione è simile.
E’ stata pubblicata da poco una nuova mappa dell’inquinamento luminoso a livello globale compilata combinando dati da satellite (non diversi dalle foto della ISS ma a copertura globale) con misurazioni in loco fornite da migliaia di volontari (citizen scientist) che hanno partecipato allo sforzo. I risultati sono stati riassunti in mappe della luminosità del cielo notturno e non è certo un caso che le nazioni meno colpite dall’inquinamento luminoso siano quelle più povere oppure quelle meno densamente popolate. Gran parte dell’Africa è libera da luci parassite anche se temo che questa non sia una scelta ma piuttosto un prodotto del sottosviluppo dovuto alla mancanza di corrente elettrica. La ricca Australia è egualmente buia, ma in questo caso quello che conta è la bassissima densità di abitanti.
Dove la ricchezza si combina con un alto numero di abitanti per km quadrato la situazione si fa subito difficile. Un terzo della popolazione del pianeta vive in regioni così illuminate da non riuscire a vedere la Via Lattea. Parliamo di oltre 2 miliardi di persone, gran parte delle quali risiede in Europa e negli Stati Uniti ma non dobbiamo dimenticare i casi di Singapore, del Kuwait, del Qatar, degli Emirati Arabi, della Corea del Sud, di Israele, della Palestina. Se esaminiamo la carte della brillantezza del cielo notturno sopra l’Europa, vediamo due vaste macchie ad alto inquinamento una corrisponde al triangolo Belgio-Olanda-Germania del nord, mentre l’altra copre tutta la pianura Padana. Da queste regioni è praticamente impossibile vedere la Via Lattea.
In effetti, l’Italia gode del non invidiabile primato di essere uno dei paesi industrializzati con il più alto inquinamento luminoso. Tra i paesi del G20 siamo secondi solo alla Corea del sud.
Ripensando all’attesa delle stelle cadenti, direi che sia il caso di rivalutare la vostra esperienza: se siete riusciti a vedere il bagliore lattiginoso della Via Lattea non vi è andata poi così male.
L’articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2016 sul sito del Sole 24 Ore, ed è riprodotto qui su Media INAF con il consenso dell’autrice
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