Sei inattese “facce” di Cerere illustrate in altrettanti studi pubblicati, tutti in un colpo solo, sull’ultimo numero di Science. Numero del quale il pianeta nano si è così aggiudicato anche la copertina. Dai risultati dei sei studi emerge il ritratto d’un mondo di roccia e ghiaccio nel quale si scorgono i segni di crateri, di fratture, di criovulcani, forse persino di una debole atmosfera e che, nel complesso, delineano l’attività geologica che ne ha caratterizzato il passato recente.
I sei studi derivano tutti da dati raccolti grazie alla missione Dawn della NASA. Tutti gli articoli sono firmati anche da ricercatrici e ricercatori, o da associati, dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) dell’INAF di Roma, e due in particolare sono specificatamente dedicati ai risultati delle osservazioni dello spettrometro italiano VIR (Visual and Infrared Spectrometer) a bordo della sonda: strumento chiave per la comprensione di un oggetto come Cerere, VIR è stato fornito dall’agenzia Spaziale Italiana (ASI) sotto la guida scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Partiamo dunque da questi ultimi per scoprire il volto inedito del più grande oggetto celeste fra quelli che popolano la cosiddetta “fascia principale”, la cintura d’asteroidi che si trovano fra le orbite di Marte e Giove.
C’è ghiaccio d’acqua nel cratere Oxo
Lo studio guidato da Jean-Philippe Combe del Bear Fight Institute di Winthrop (USA) dimostra la presenza di acqua ghiacciata in superficie. «Già si sapeva della presenza di ghiaccio d’acqua, ma ci si attendeva che su Cerere il ghiaccio in superficie fosse instabile lontano dai poli: trovarlo proprio lì è stata dunque una sorpresa», spiega Maria Cristina De Sanctis, coautrice dello studio e ricercatrice presso l’INAF IAPS di Roma, nonché responsabile di VIR. Gli scienziati del team se ne sono accorti utilizzando VIR in cinque occasioni, nel corso del 2015, per analizzare – nel visibile e nel vicino infrarosso – una zona estremamente riflettente del cratere Oxo, che si trova a circa 42° Nord (la latitudine di Roma, per intenderci). I dati rivelano, in un’area di meno di un chilometro quadrato, la presenza di materiali contenenti acqua: molto probabilmente ghiaccio d’acqua, scrivono gli autori, anche se potrebbe trattarsi di minerali idrati.
Ora, le condizioni ambientali presenti su Cerere fanno sì che il ghiaccio d’acqua non riesca a permanere in superficie per più di qualche decina di anni a basse latitudini. Di conseguenza, i risultati di Dawn si potrebbero spiegare solo con un’esposizione o una formazione d’acqua in tempi recenti. Tra le varie ipotesi avanzate dagli autori dello studio – tra i quali, oltre a De Sanctis, anche altri tre ricercatori dell’INAF IAPS di Roma: Federico Tosi, Filippo Giacomo Carrozzo e Andrea Raponi – quella ritenuta più plausibile è l’esposizione di materiali ricchi d’acqua, vicini alla superficie, a seguito d’un impatto o di uno smottamento.
Distribuzione dei diversi materiali sulla crosta
In un secondo studio, guidato questa volta da Eleonora Ammannito dell’Università della California a Los Angeles, viene analizzata la distribuzione su Cerere dei minerali fillosilicati argillosi, che contengono magnesio e ammonio. In questo caso i ricercatori – fra i quali ben 14 dell’INAF IAPS di Roma: Maria Cristina De Sanctis, Mauro Ciarniello, Alessandro Frigeri, Filippo Giacomo Carrozzo, Andrea Raponi, Federico Tosi, Fabrizio Capaccioni, Maria Teresa Capria, Sergio Fonte, Marco Giardino, Andrea Longobardo, Gianfranco Magni, Ernesto Palomba e Francesca Zambon – hanno utilizzato la spettrometro VIR per determinare la composizione di questi fillosilicati da una parte all’altra del pianeta nano, risultata abbastanza uniforme, mentre è emersa notevole varietà nella loro abbondanza. Poiché questi minerali, per formarsi, richiedono la presenza di acqua, gli autori avanzano l’ipotesi che il materiale presente in superficie abbia subito alterazioni a seguito di un processo a larga scala nel quale l’acqua abbia avuto un ruolo fondamentale.
Un’atmosfera per Cerere
Dallo studio guidato dal principal investigator di Dawn, Christopher Russell, anch’egli dell’Università della California a Los Angeles, emerge un risultato sorprendente: Dawn sembra aver rilevato, attorno al pianeta nano, una debole e precaria atmosfera. I dati raccolti dallo strumento GRaND (Gamma Ray and Neutron Detector) mostrano come Cerere abbia accelerato a energie molto alte, per un periodo di circa sei giorni, gli elettroni del vento solare. Un fenomeno che, in teoria, potrebbe essere spiegato dall’interazione tra le particelle energetiche del vento solare e molecole atmosferiche. L’esistenza di un’atmosfera temporanea, notano gli autori dello studio, fra i quali di nuovo figura Maria Cristina De Sanctis dell’INAF IAPS di Roma insieme ad altri associati INAF, sarebbe fra l’altro coerente con la presenza di vapore acqueo registrata su Cerere quattro anni fa dal telescopio spaziale Herschel. Gli elettroni rilevati da GRaND potrebbero infatti essere stati prodotti dall’impatto del vento solare sulle molecole d’acqua osservate da Herschel, ma gli scienziati stanno anche cercando anche altre spiegazioni.
Criovulcanesimo, ghiacci e crateri
Dei tre studi rimanenti, tutti con autori INAF o associati, uno riguarda l’attività criovulcanica, e in particolare una formazione geologica chiamata Ahuna Mons – una montagna con la base ellittica e la sommità concava – che secondo lo studio guidato da Ottaviano Ruesch, del Goddard Space Flight Center della NASA, rappresenterebbe appunto l’esempio di un criovulcano: un vulcano che erutta non silicati bensì un liquido fatto di sostanze volatili, come l’acqua.
Un quinto studio, condotto da Harald Hiesinger dell’Università di Münster, in Germania, analizza i crateri da impatto presenti su Cerere, dai quali si evince che il guscio esterno del pianeta nano non è composto né di puro ghiaccio né di pura roccia, bensì di una combinazione dei due materiali.
Infine, lo studio guidato da Debra Buczkowski, della Johns Hopkins University, rivolge l’attenzione alle diverse caratteristiche geologiche osservate in superficie, fra le quali crateri, cupole (o duomi), flussi lobati e strutture lineari. Se alcune di queste caratteristiche sono il frutto di impatti, altre sembrano piuttosto suggerire processi geologici quali la fagliazione subsuperficiale. Alcune poi sembrerebbero dovute a processi criomagmatici o ciovulcanici, prodotti dunque da ghiaccio fuso che fuoriesce dal sottosuolo.
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Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “Detection of local H2O exposed at the surface of Ceres“, di .-P. Combe et al.
- Leggi su Science l’articolo “Distribution of phyllosilicates on the surface of Ceres“, di E. Ammannito et al.
- Leggi su Science l’articolo “Dawn arrives at Ceres: Exploration of a small, volatile-rich world“, di C.T. Russell et al.
- Leggi su Science l’articolo “Cryovolcanism on Ceres“, di O. Ruesch et al.
- Leggi su Science l’articolo “Cratering on Ceres: Implications for its crust and evolution“, di H. Hiesinger et al.
- Leggi su Science l’articolo “The geomorphology of Ceres“, di D.L. Buczkowski et al.