Un po’ come genetisti e antropologi ricostruiscono il passato della nostra specie attraverso la storia dei flussi migratori, una squadra di astronomi guidata da Daniela Carollo – professore di ricerca alla University of Notre Dame, negli Stati Uniti, e associata all’INAF di Torino – è riuscita a produrre una mappa cronografica della Via Lattea. Il risultato, pubblicato oggi su Nature Physics, depone a favore del cosiddetto “modello gerarchico” di formazione della nostra galassia: modello secondo il quale la Via Lattea si sarebbe formata – per effetto della gravità, nel corso di miliardi di anni – attraverso l’unione di piccoli aloni galattici fatti di gas e di stelle. Le stelle più antiche, stando a questa ipotesi, occuperebbero oggi la regione centrale della galassia.
«Su quello che è il componente più antico della Via Lattea, il sistema di alone galattico, fino a oggi avevamo ben poche certezze», dice Carollo. «Ora siamo invece riusciti a dimostrare, per la prima volta oltre ogni ragionevole dubbio, che le stelle più antiche si trovano nel centro della galassia, mentre quelle più giovani sono relegate in strutture lontane. Aggiungendo così un nuovo tassello alla ricostruzione della storia della nostra galassia, e più in generale del modo in cui le galassie si sono formate».
Usando i dati dalla Sloan Digital Sky Survey, gli scienziati hanno identificato oltre 130 mila esemplari di quelle che gli astronomi classificano come “stelle blu del ramo orizzontale”, vale a dire stelle nel cui nucleo si “brucia” elio. Sono stelle con una caratteristica particolare: non solo il loro colore cambia in funzione dell’età, ma soprattutto sono l’unico tipo di stelle la cui età può essere stabilita a partire dal solo colore. Riportati su una mappa della nostra galassia, dai risultati è emersa un’evidente gerarchia: le stelle più vecchie stanno al centro, quelle più giovani si trovano lontano, in periferia, confinate in strutture.
«Quando le stelle hanno raggiunto quello stadio», spiega riferendosi alle stelle blu del ramo orizzontale Timothy Beers, anch’egli professore alla University of Notre Dame e coautore dello studio, «il loro colore dipende dalla quantità di tempo per il quale la stella è stata “viva”, e questo ci consente di stimarne l’età. A questo punto, se le disponiamo su una mappa, possiamo capire quali stelle sono arrivate prima e assegnare un’età alle relative porzioni della galassia. Riusciamo così a visualizzare come s’è formata la nostra galassia, e analizzare i residui stellari lasciati da altre piccole galassie andate distrutte a seguito della loro interazione con la nostra, mentre quest’ultima andava assemblandosi».
Le prime stelle si sono formate dalle nubi di gas più antiche, spiega Carollo, contenenti materia primordiale, idrogeno ed elio. Ora, nubi aventi diversa massa e contenuto di gas si sono anche comportate in modo diverso: quelle più piccole hanno dato origine a una o due generazioni di stelle – gli oggetti più vecchi – per poi fondersi con altre nubi e finire trascinate dalla gravita nel cuore della galassia, mentre le nubi di massa maggiore, prima di fondersi, hanno prodotto molte più generazioni di stelle – dunque, oggetti più giovani. Galassie grandi, come appunto la Via Lattea, sono cresciute in maniera gerarchica a mano a mano che la loro gravità attraeva le galassie più piccole, costringendole a una fusione.
Tornando alle tecniche d’analisi che hanno reso possibile questo risultato, oggi è possibile applicarle solo alla nostra galassia, la Via Lattea, e alle galassie satelliti nane che la circondano. Ma il James Webb Space Telescope della NASA, il cui lancio è previsto per il 2018, dovrebbe essere in grado di raccogliere dati da galassie molto più lontane, spingendosi fino ai primi bagliori dopo il Big Bang. A quel punto, adottando il metodo usato da Carollo e Beers per stimare l’età, si potranno aggiungere tasselli al puzzle della formazione della nostra galassia, e a domande su come l’universo è diventato quello che conosciamo.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Physics l’articolo “The age structure of the Milky Way’s halo“, di D. Carollo, T. C. Beers, V. M. Placco, R. M. Santucci, P. Denissenkov, P. B. Tissera, G. Lentner, S. Rossi, Y. S. Lee e J. Tumlinson