Di recente un segnale ai raggi X proveniente da alcuni ammassi di galassie ha destato l’interesse degli astronomi. Sembrava essere stato generato dalla materia oscura, la componente che contribuisce all’80 percento della materia presente nell’Universo, ma che gli scienziati non sono stati ancora in grado di individuare. Per verificare questa ipotesi, un team di ricercatori è andato in cerca di una spiegazione alternativa.
I risultati ottenuti, la cui pubblicazione avverrà sul prossimo numero della rivista Astrophysical Journal, mostrano che l’emissione ai raggi X può essere spiegata da ioni di zolfo altamente carichi che strappano elettroni da atomi di idrogeno. La ricerca che si occupa di dare un nome e un volto alle particelle di materia oscura è ancora lontana dall’aver trovato una risposta.
I dati che avevano acceso le speranze dei ricercatori sono stati raccolti dal telescopio XMM-Newton dell’ESA circa due anni fa. Il telescopio ai raggi X aveva osservato una debole radiazione provenire da diversi ammassi di galassie a energie pari a 3.500 eV (elettronvolt), che gli scienziati non erano in grado di spiegare con ciò che ci si aspettava da queste sorgenti. Una prima ipotesi proponeva che si trattasse di particelle di materia oscura in decadimento, e dunque che quegli spettri rappresentassero la prima traccia concreta di questa misteriosa forma di materia. Le speranze dei ricercatori si sono presto ridimensionate: le regioni osservate da XMM-Newton non corrispondono alla distribuzione spaziale prevista per la materia oscura.
Oltre a questo, esiste un gran numero di processi fisici di cui non conosciamo l’emissione prevista nei raggi X, e che quindi non possono essere esclusi come possibili cause di un segnale inusuale. Spesso le tabelle utilizzate dagli astronomi per valutare gli spettri ad alte energie sono frutto di assunzioni teoriche, e dunque non del tutto affidabili.
Secondo i ricercatori, in questo caso, la linea spettrale osservata potrebbe essere causata da atomi di zolfo che hanno perso tutti i loro elettroni e che ne rubano uno da un atomo di idrogeno. È piuttosto comune trovare ioni così carichi nel mezzo intergalattico, ovvero il materiale che separa tra loro le galassie. «Per spiegarlo in parole semplici, lo scambio di carica funziona in questo modo: il nucleo di zolfo spoglio di elettroni richiama a sé con forza l’elettrone dell’atomo di idrogeno, e l’elettrone poi rilascia energia sotto forma di raggi X», dice José Crespo, ricercatore presso il Max-Planck-Institut for Nuclear Physics e co-autore dello studio.
Per verificare che la sorgente potesse emettere lo spettro osservato, i ricercatori hanno iniettato un fascio estremamente sottile di un composto di zolfo all’interno di una trappola ionica. Gli elettroni con cui in seguito hanno bombardato le molecole ne hanno comportato la frammentazione e la fuga degli elettroni dagli atomi. In questo modo hanno prodotto gli atomi altamente ionizzati.
A questo punto gli scienziati hanno spento il fascio di elettroni in modo da poter osservare come si comportavano gli ioni di zolfo nei confronti degli elettroni legati alle molecole non frammentate. Inizialmente gli elettroni catturati avevano una grande quantità di energia, che veniva rilasciata sotto forma di raggi X. La più energetica delle emissioni osservate si aggirava sui 3.470 eV, quindi molto vicino alla riga spettrale osservata. Il fatto che nell’esperimento i nuclei di zolfo abbiano catturato elettroni da molecole del composto, anziché da atomi di idrogeno, non è importante ai fini di valutare lo spettro ai raggi X, poiché questi vengono generati solo quando gli elettroni perdono energia, cadendo verso lo stato fondamentale.
«Prendendo in considerazione le incertezze delle misurazioni astrofisiche e quelle sperimentali, diventa chiaro che lo scambio di carica tra nuclei di zolfo e atomi di idrogeno può spiegare molto bene il segnale misurato a 3.500 eV», conclude José Crespo. In sintesi, la ricerca di materia oscura ha ancora molta strada davanti a sé.
Per saperne di più:
- Leggi su Astrophysical Journal l’articolo “Laboratory measurements compellingly support charge-exchange mechanism for the ‘dark matter’ ∼3.5 keV X-ray line” di Chintan Shah, Stepan Dobrodey, Sven Bernitt, René Steinbrügge, José R. Crespo López-Urrutia, Liyi Gu e Jelle Kaastra