Guardatelo. Sembra un paesaggio di William Turner. E invece è il cuore d’una galassia lontanissima, a 47 milioni di anni luce da noi, in direzione della Balena. Cliccateci sopra e ingranditelo. Il fascino è nei dettagli, nei colori di quelle volute di… di cosa? Prima di rispondere, un passo indietro e una premessa: non è una tela di Turner, d’accordo, ma è comunque il parto della fantasia d’un artista, Dana Berry, di Skyworks. Una rappresentazione artistica, dunque. Al tempo stesso, però, a modo suo realistica. È reale quel buco nero al centro, perché la galassia rappresentata, NGC 1068 (nota anche come M77), come tante altre galassie se non tutte, ha nel cuore un buco nero supermassiccio. Ma è realistico anche quell’impetuoso oceano di materia che lo avvolge: è il disco rotante di gas e polveri “in accrescimento”, di cui l’enorme buco nero si nutre. E i colori? Visti con gli “occhi” speciali, come quelli radio e a microonde di ALMA, sono un po’ veri pure loro: rappresentano infatti il moto e la direzione di quel turbinio di molecole. Ed è proprio il loro movimento ad aver fornito – come vedremo – a un team di ricercatori guidati da Jack Gallimore della Bucknell University, in Pennsylvania, i dati per arrivare allo scenario descritto nell’articolo pubblicato oggi su Astrophysical Journal Letters. Scenario stando al quale, ad avvolgere e nascondere ai nostri occhi il buco nero, è il suo stesso “gas di scarico”.
«Immaginatevi un buco nero come se fosse un motore. Ad alimentarlo è il materiale che precipita in esso da un disco appiattito di polvere e gas», spiega Gallimore. «Ma esattamente come fa un motore, un buco nero può anche emettere gas di scarico». Ebbene, proprio quel gas di scarico, dicono gli astronomi, è con tutta probabilità la fonte del toro di materiale che nasconde agli occhi dei telescopi ottici la regione che circonda il buco nero supermassiccio.
«Intendiamoci, non si tratta di materiale che esce esattamente dal buco nero, bensì dal suo intorno», chiarisce a Media INAF uno dei coautori dello studio, Alessandro Marconi, professore di Astrofisica e Cosmologia all’Università di Firenze e associato INAF all’Osservatorio astrofisico di Arcetri. «Ciò che accade è che lo stesso materiale in accrescimento, prima di precipitare nel buco nero viene, in parte, espulso: sparato via. È il cosiddetto modello disk-wind, disco-vento, stando al quale l’esistenza di un disco in accrescimento è associata anche a un “vento” che si genera a partire dal disco stesso».
Tornando alla rappresentazione artistica di Dana Berry, ciò che colpisce maggiormente – colori e livello di dettaglio – è anche ciò che più rende innovativo il lavoro di Gallimore e colleghi. «Siamo riusciti a osservare la nascita di questo vento su scale estremamente piccole», sottolinea infatti Marconi, «scale vicine a quelle del disco maser di NGC 1068. Noi sappiamo che in NGC 1068 c’è un disco denso, molecolare, che riusciamo a osservare attraverso l’emissione dei maser dell’acqua. Quello che vediamo è che, perpendicolare a questo disco molecolare – che traccia sostanzialmente il disco di accrescimento – c’è materiale, anch’esso molecolare, in uscita. Un po’ come avviene anche nelle protostelle».
«Adottando una tecnica particolare, quella della spettroastrometria, siamo riusciti ad andare in super-resolution: vale a dire, siamo riusciti a spingerci oltre la risoluzione spaziale delle osservazioni. È una tecnica che, sostanzialmente, si basa sulla separazione dell’emissione nelle varie lunghezze d’onda, e sulla misura della posizione di quest’emissione in funzione della lunghezza d’onda», conclude Marconi.
Insomma, semplificando un po’ (tanto, in realtà), è come essere riusciti a ottenere, con una macchina fotografica da 12 megapixel, immagini a 48 megapixel e oltre. In tal modo, gli scienziati sono riusciti a individuare la sorgente del “gas di scarico”, e a stabilire così che si tratta, appunto, dello stesso buco nero che ne viene offuscato.
Per saperne di più:
- Leggi su Astrophysical Journal Letters l’articolo “High-velocity bipolar molecular emission from an AGN torus”, di J. Gallimore, Moshe Elitzur, Roberto Maiolino, Alessandro Marconi, Christopher P. O’Dea, Dieter Lutz, Stefi A. Baum, Robert Nikutta, C. M. V. Impellizzeri, Richard Davies, Amy E. Kimball ed Eleonora Sani [qui il preprint]