Il cuore di Plutone “batte” ancora, nonostante sia ghiacciato. La regione Tombaugh, le cui foto iconiche scattate dalla sonda New Horizons hanno fatto il giro del web, racchiude una pianura ghiacciata con un’età di soli 100 milioni di anni, tanto da far ritenere che sia ancora in pieno sviluppo geologico. Il ghiacciaio di azoto, spesso 4 chilometri ed esteso circa 1000, si chiama Sputnik Planum (vedi Media INAF) e la sua origine, secondo due ricercatori francesi, può essere spiegata da una combinazione di caratteristiche superficiali e processi atmosferici.
Tanguy Bertrand e François Forget sono gli autori dello studio “Observed glacier and volatile distribution on Pluto from atmosphere–topography processes” pubblicato oggi sulla rivista Nature. A Media INAF, il primo autore ha spiegato che «il ghiacciaio si è formato probabilmente insieme al bacino dello Sputnik Planum. Il nostro modello mostra che l’azoto ghiacciato si accumula inevitabilmente e rapidamente nella parte più profonda del bacino, formando così una riserva permanente». Bertrand ha detto che il ghiaccio rimane intrappolato soprattutto a causa dello scarso calore proveniente dal Sole, ma anche dato il particolare equilibrio solido/gas dell’azoto. Il ricercatore dell’Università Pierre e Marie Curie di Parigi ha specificato: «Nella parte inferiore del bacino, la pressione atmosferica – e quindi dell’azoto gassoso – è superiore, quindi la corrispondente temperatura della brina è superiore a quella esterna del bacino e ciò causa il rapido congelamento dell’azoto». La conclusione è che «non c’è alcuna necessità di una riserva interna di azoto ghiacciato per spiegare la formazione del ghiacciaio, come suggerito da studi precedenti».
Bertrand e Forget hanno eseguito diverse simulazioni per studiare l’evoluzione dei componenti chimici che formano i depositi di ghiaccio su Plutone ripercorrendo al computer circa 50 mila anni (terrestri) di storia del pianeta nano. Di certo, anche la conformazione della superficie di Plutone ha influenzato la formazione del ghiacciaio, vista la presenza di profonde cavità che intensificano il raffreddamento dell’azoto. In più, anche su Plutone esistono le stagioni (come sugli altri pianeti) e proprio i cicli climatici influenzano le gelate stagionali. «Il ghiaccio superficiale – ha aggiunto Bertrand – segue le stagioni, che sono molto lunghe su Plutone (un anno corrisponde a 248 anni terrestri). Sulla Terra il ghiaccio ricopre l’intero Oceano Artico durante l’inverno boreale. Su Plutone, il metano gelato copre l’emisfero invernale e può resistere fino a primavera, che è la stagione attualmente in corso sul pianeta nano». Quindi i ricercatori hanno previsto che la gelata sia attualmente in fase di sublimazione (quando si passa direttamente dalla fase solida del ghiaccio alla fase gassosa) e presto scomparirà.
Il mistero di Plutone non è stato ancora risolto, soprattutto se si pensa all’atmosfera che custodisce ancora diversi segreti. «Questi risultati – ha proseguito Bertrand – ci aiutano ad avere un’immagine globale migliore di Plutone. Grazie a New Horizons abbiamo scoperto un’intensa attività superficiale su Plutone: si è visto che i ghiacci volatili sono sottoposti a cicli intensi e, formando ghiacciai e gelate, erodono e plasmano le aree circostanti. Ma c’è dell’altro. Su Plutone si verificano molti fenomeni del tutto sconosciuti sulla Terra, per questo alcuni dati sono tuttora inspiegabili».