La massa dei buchi neri supermassivi, che risiedono nei nuclei delle galassie, può assumere valori che vanno da centinaia di migliaia a decine di miliardi di soli. La domanda è: esiste un limite al valore della massa che possono assumere questi mostri del cielo? Due astronomi della Columbia University hanno tentato di dare una risposta a questa domanda analizzando i processi fisici nel disco di accrescimento che fisserebbero un valore critico della massa dei buchi neri supermassivi a 10 miliardi di soli. I risultati di questo studio sono riportati su Astrophysical Journal.
Dall’epoca in cui si sono formati i primi buchi neri supermassivi è trascorso abbastanza tempo per permettere loro di raggiungere dimensioni gigantesche, grazie soprattutto alla presenza di un adeguato rifornimento di “carburante”. Tuttavia, quei buchi neri supermassivi presenti nel centro delle galassie più grandi dell’universo locale possono raggiungere alcune decine di miliardi di masse solari. Ma la cosa più interessante è che questo limite sembra essere indipendente dal cosiddetto redshift: in altre parole, si stima ancora questo valore massimo anche per gli oggetti presenti nei quasar più brillanti che si trovano fino a un redshift di circa 7.
Ci si chiede, allora, come mai non si osservano casi in cui il valore della massa superi 10 miliardi di soli indipendentemente da dove osserviamo? Due astronomi della Columbia University , Kohei Inayoshi e Zoltan Haiman, suggeriscono che esista un valore limite per la massa dei buchi neri supermassivi fissato da una serie di processi fisici che avvengono su piccola scala piuttosto che da processi fisici su larga scala, come ad esempio l’evoluzione galattica o la formazione stellare.
La crescita, e quindi l’evoluzione, di un buco nero supermassivo con una massa maggiore di 10 miliardi di soli richiede la presenza di una grande quantità di gas che venga rapidamente confluito dalle regioni più esterne della galassia, attraverso l’enorme disco di accrescimento che circonda il buco nero, verso la regione nucleare estesa qualche anno luce: il gas deve essere trasportato verso le regioni più interne con un tasso elevato, equivalente ad almeno a 1000 masse solari all’anno.
Dopo aver realizzato diverse simulazioni di questo processo, gli autori hanno osservato che con questo ritmo così elevato la maggior parte del gas finisce nel disco, il che causa processi di formazione stellare su distanze dell’ordine di decine fino a centinaia di anni luce: in altre parole, il gas non si avvicina mai abbastanza per alimentare il buco nero centrale. Perciò, la quantità minima del gas che rimane, e che si accresce attorno al buco nero centrale durante la sua fase evolutiva, non è più sufficiente a farlo crescere oltre 10 miliardi di masse solari.
In più, per quei buchi neri supermassivi abbastanza grandi, la quantità del gas residuo può essere talmente minima rispetto alla massa del buco nero che la fisica stessa dell’accrescimento può cambiare: ciò determina una sorta di “rigonfiamento” della parte più interna del disco di accrescimento con conseguente formazione di due getti relativistici che si dipartono in direzioni opposte e perpendicolari rispetto al piano del disco. Una volta che si ha questa transizione, il rifornimento del buco nero viene interrotto, impedendogli così di crescere ancora di più.
Secondo i calcoli eseguiti da Inayoshi e Haiman, la massa critica relativa alla fase di transizione risulta compresa fra 10 e 60 miliardi di masse solari, consistente con i valori massimi stimati per la massa dei buchi neri supermassivi che esistono in natura. Tale consistenza supporta, quindi, l’idea secondo cui sarebbero i processi fisici su piccola scala attorno al buco nero supermassivo, piuttosto che la natura dell’ambiente su larga scala attorno alla galassia ospite, a fissare la sua dimensione limite.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo su Astrophysical Journal: Kohei Inayoshi & Zoltán Haiman 2016 – Is There a Maximum Mass for Black Holes in Galactic Nuclei?