Il panorama più frequente quando si osservano sistemi planetari è una stella con un anello di pianeti che le ruotano attorno. In uno studio recente, però, un team di astronomi ha segnalato la scoperta di IRS 43: un sistema composto da due stelle e tre dischi materiale in rotazione, che daranno vita molto probabilmente a tre sistemi planetari.
All’interno del sistema binario, ciascuna delle due stelle ha un proprio disco gassoso che le circonda, e ce n’è un terzo condiviso. I tre dischi risultano disallineati tra di loro. I risultati sorprendenti su questo sistema, più unico che raro, sono stati pubblicati oggi sulla rivista scientifica Astrophysical Journal Letters.
Un sistema planetario si forma a partire da una grande nube di gas e polveri. Condensandosi, la nube diventa sempre più compatta, fino a collassare e generare una sfera di gas addensato. A questo punto la pressione fa sì che la temperatura della materia aumenti, fino a dar vita a una palla di gas incandescente: la stella. Ciò che è rimasto della nube si pone in rotazione attorno alla stella in un disco, dove il materiale comincia ad accumularsi e a formare grumi di taglia più piccola, che diventeranno i pianeti.
Capita spesso che la nube protostellare dia vita a coppie di stelle, e in questo caso abbiamo la nascita di un sistema binario, formato da due stelle tenute insieme dalla loro gravità reciproca. Si stima che oltre la metà delle stelle si formino in sistemi binari, e possano avere ciascuna il proprio disco di gas e polveri.
Quello che hanno osservato i ricercatori, però, è qualcosa di estremamente inaspettato: un sistema binario di stelle con ben tre dischi in rotazione. «IRS 43 è composto da due stelle appena formate, con dimensioni simili al Sole, entrambe provviste di un disco rotante di gas e polveri simile alle dimensioni del nostro sistema solare», spiega Christian Brinch, professore presso il Niels Bohr Institute di Copenaghen, tra gli autori dello studio. «La cosa più interessante è che queste due stelle hanno anche un disco condiviso, molto più grande degli altri due, e che i tre dischi sono su piani differenti. Questa è una novità assoluta, il sistema non assomiglia a niente di tutto quello che abbiamo visto fino ad ora».
La scoperta è stata possibile grazie alle capacità osservative del telescopio Atacama Large Millimeter Array (ALMA) nel nord del Cile. Le stelle si trovano a circa 400 anni luce dalla Terra e hanno un’età pari a 100-200 mila anni, con i loro sistemi di pianeti all’inizio della loro formazione. Le nostre capacità osservative non ci permettono di vedere direttamente i pianeti in formazione, ma possiamo ottenere immagini dei dischi protoplanetari.
«Quello che possiamo osservare è il gas di cui sono formati i dischi», spiega Brinch, «perché le molecole che lo compongono sono eccitate dal calore delle stelle, ed emettono luce nella banda infrarossa e delle microonde. Studiando la luce che proviene da questi oggetti è possibile capire se la sorgente di luce si sta allontanando o avvicinando all’osservatore: se si sposta verso lunghezze d’onda più lunghe, si sta allontanando, se al contrario si sposta verso lunghezze d’onda più corte, si sta avvicinando. In questo modo abbiamo potuto scoprire che i tre dischi si muovono in maniera incoerente tra loro, con inclinazioni differenti».
I ricercatori non sanno spiegarsi come mai il sistema si mostri così disordinato, e ipotizzano che la formazione sia avvenuta in maniera particolarmente turbolenta. «Per cercare di comprendere la fisica el processo di formazione di questo sistema peculiare utilizzeremo le simulazioni al computer», dice Jes Jørgensen, professore presso il Niels Bohr Institute di Copenaghen e co-autore dello studio. «Chiederemo anche più tempo di osservazione presso il telescopio ALMA per poter studiare con risoluzione ancora maggiore i dischi planetari. Il nostro obiettivo sarà ottenere informazioni più dettagliate sulla loro composizione chimica».
Per saperne di più:
- Leggi su Astrophysical Journal Letters l’articolo “Misaligned disks in the binary protostar IRS 43” di Christian Brinch, Jes K. Jørgensen, Michiel R. Hogerheijde, Richard P. Nelson, and Oliver Gressel