Emozionarsi. È l’esperienza che facciamo quotidianamente come spettatori del mondo. Seduti nella platea di un teatro o magari al cinema, distesi sull’erba sotto un cielo stellato, camminando silenziosi nel mezzo di una natura rigogliosa, immobili e assorti di fronte alla magia di uno spettacolo hi-tech.
L’emozione accomuna scienza e arte, cultura umanistica e scientifica. Sono gli stessi poeti, drammaturghi, registi, astronomi, scienziati, esploratori, architetti, artigiani a emozionarsi durante il processo creativo, l’indagine, la scoperta, che accompagna il loro lavoro.
Può insomma l’emozione ricucire lo strappo fra scienza e umanesimo che, almeno in Italia, sembra non trovare soluzione dai tempi di Benedetto Croce? Esiste una terza via da imboccare o ci troviamo di fronte a un vicolo cieco?
A ragionare sulla contrapposizione tra cultura scientifica e cultura umanistica è Anna Curir, associata INAF dell’Osservatorio Astrofisico di Torino, da poco in libreria con L’emergere della Terza Cultura e la mutazione letale, edito da il Sirente (pagg. 180, € 15,00). Un saggio che si muove in modo trasversale fra le metafore con cui Richard Dawkins rappresenta l’evoluzione darwiniana e le suggestioni di Wilfred Bion, Ernst Mayr e Noham Chomsky per suggerire come intelligenza e cultura possano divenire alternativamente una mutazione letale (la stessa che dà il titolo al libro) o una strategia per sopravvivere a una contemporaneità frizzante e in rapida evoluzione. La scelta tra queste due alternative dipende in modo esclusivo «dal prendere coscienza che l’agire è differente dal fare».
È stato forse John Brockman a definire per primo come terza cultura quella prodotta da scienziati e filosofi contemporanei che avevano di fatto soppiantato la figura dell’intellettuale tradizionale per ciò che riguarda gli aspetti più profondi dell’esistenza umana, ridefinendo chi e che cosa siamo. «La scienza è umanistica perché contribuisce a costruire risposte alle grandi domande “chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando”. Le scienze infatti ci forniscono teorie sull’origine della vita e dell’Universo», spiega Anna Curir. «Sicuramente non ci dettano valori, ma contornano le possibilità dei valori. Ad esempio, dalla proposta scientifica di un Universo che si evolve senza scopo, ben diverso da un cosmo nato dalla provvidenza divina, siamo forzati ad assumerci la responsabilità del nostro benessere e della tutela del nostro pianeta».
Anche gli scienziati devono fare la loro parte. Ed è fondamentale che sempre più tempo venga dedicato da chi fa ricerca per divulgare i risultati del proprio lavoro a media e pubblico generico. Il cambiamento di paradigma infatti non si trasmette attraverso i trattati, ma si propaga come un’epidemia, attraverso «contagi di ogni tipo: intellettuali, emotivi, sperimentali».
Anna Curir è una degna rappresentante di questo connubio fra scienza e umanesimo: da astrofisica si è occupata di cosmologie relativistiche, buchi neri, formazione e dinamica delle galassie e in particolare della Via Lattea, ma ha trovato il tempo per conseguire una seconda laurea in psicologia. Da sempre interessata a neuroscienze e psicanalisi, oggi è iscritta all’ordine degli psicologi del Piemonte. Tra le sue pubblicazioni: Astri Collassati (1985), I processi psicologici della scoperta scientifica. L’armoniosa complessità del mondo (2012), Il DNA delle Galassie (2013) e From science-fiction to science. The role of fantasy in the development of science, scritto a quattro mani con Fernando De Felice.