«Pluto is the new Mars», Plutone è il nuovo Marte. È la frase ripetuta come un mantra nelle varie sessioni dedicate alla missione NASA New Horizons, del Congresso di planetologia DPS/EPSC che riunisce a Pasadena in questi giorni l’americano DPS (Division for Planetary Sciences) e l’europeo EPSC (European Planetary Science Congress). I motivi dell’entusiasmo sono evidenti gia dalle prime immagini presentate alla conferenza stampa di ieri, martedì 18 ottobre.
Innanzitutto facciamo il punto: al momento New Horizons si trova a 5,5 miliardi di km dalla Terra e, avendo concluso la sua missione originaria, continua ad allontanarsi dal Sole a 14 km al secondo, dirigendosi verso il suo nuovo obiettivo, 2014 MU69, un piccolo corpo della Fascia di Kuiper. Lo raggiungerà per un flyby il primo gennaio 2019, a una distanza di circa 1,6 miliardi di km da Plutone stesso. Nel frattempo, i dati catturati durante il flyby di Plutone hanno continuato ad arrivare incessantemente a Terra: il trasferimento si concluderà solo fra qualche giorno, il 23 ottobre.
«Durante le prime fasi ci sentivamo come i dottori di un pronto soccorso. Sempre in emergenza», racconta Alan Stern, principal investigator del Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado. «Ora, con la trasmissione degli ultimi dati catturati nel flyby, siamo molto eccitati e sappiamo che l’esplorazione di Plutone è così interessante che meriterebbe una nuova missione dedicata».
E come al solito, quando inizia l’analisi dei dati, inizia la scienza. Un lavoro duro e già ben tangibile negli oltre 40 interventi tra conferenze e poster presentati al DPS/EPSC su Plutone e su altri oggetti della Fascia di Kuiper.
Tra i risultati più sorprendenti, l’ipotesi che, nell’atmosfera mediamente trasparente di Plutone, le camere di New Horizons abbiano potuto identificare delle nuvole isolate. Il team pensa di aver identificato, nelle immagini raccolte, sette candidati, ovvero sette possibili nuvole. La scoperta è ancora tutta da dimostrare, visto che gli oggetti sono di difficile interpretazione. E il fenomeno potrebbe essere temporaneo e raro, essendo i candidati in numero molto limitato e tutti nella zona del terminatore, la porzione della superficie dove il giorno cede il passo alla notte, e dove avvengono i maggiori cambiamenti atmosferici. Le conseguenze scientifiche di questo ritrovamento sono comunque indiscutibili: «se ci sono nuvole», osserva Stern, «il clima su Plutone potrebbe essere anche più complesso di quello che avevamo immaginato».
Complessità che sembra invece essere del tutto assente per quanto riguarda i fenomeni geologici: dalle osservazioni di New Horizons presentate al DPS/EPSC, su Plutone non sembra esserci alcun segno di frane. A infittire il mistero, il fatto che questo tipo di fenomeno sia stato invece visto dalla stessa sonda non lontano da lì, su Caronte, la luna più grande del pianeta nano.
«In assoluto è la prima volta che vediamo segni di frane così lontano dal Sole», dice Ross Beyer, del team di New Horizons. «Abbiamo visto frane molto simili tra loro su molti corpi rocciosi e ghiacciati, come Marte e Giapeto, la luna di Saturno». Le domande sorgono spontanee: sarà possibile trovarle segni di frane altrove e qual è il fenomeno che le genera? Come differiscono tra loro gli oggetti della Fascia di Kuiper Belt e perché?
A rispondere a questa e altre domande, sarà forse la fase estesa della missione stessa. Lungo la strada per raggiungere il suo prossimo obiettivo, New Horizons ha già le camere puntate su vari corpi della Kuiper Belt, sfruttando il suo punto di vista privilegiato per osservarne circa una dozzina. E viene aiutato nel suo compito dal telescopio Hubble, che aiuta le osservazioni fornendo dati particolarmente interessanti.
Il primo ad essere osservato è 2014 MU69 stesso, che i primi dati di Hubble suggeriscono essere di colore rossastro, proprio come Plutone. Questo dimostra che 2014 MU69 fa parte dei cosiddetti oggetti freddi della Fascia di Kuiper, dove per ‘freddo’ non si intende un corpo a bassa temperatura, ma un oggetto non abbia interagito con altri, nella sua evoluzione.
«Il colore rossastro di 2014 MU69 ci dice che tipo di oggetto è quello che andremo ad osservare», conclude Amanda Zangari, del team New Horizons e del Southwest Research Institute. «Queste nuove osservazioni confermano che, il primo gennaio 2019, New Horizons avrà una seconda meravigliosa opportunità: quella di osservare un altro tra gli oggetti più antichi e misteriosi del Sistema solare».