In un articolo pubblicato oggi su Nature vengono descritte due nuove, enigmatiche sorgenti di brillamenti X in galassie vicine alla Via Lattea. Nonostante la natura di queste sorgenti di alta energia rimanga ancora incerta, gli autori suggeriscono che si tratta di oggetti decisamente diversi rispetto a quelli noti nella nostra galassia, come le magnetar, le pulsar X anomale o le sorgenti gamma che esibiscono brillamenti ripetuti di luminosità simile, e pare siano situati nelle vecchie popolazioni stellari.
Prima di questo studio, nel 2003 e poi nel 2007 vennero rivelati due brevissimi brillamenti X di luminosità elevata in prossimità della galassia NGC 4697. Jimmy Irwin e colleghi hanno esaminato i dati dell’archivio delle osservazioni dell’osservatorio spaziale per raggi X Chandra per un insieme di 70 galassie vicine in modo da trovare brillamenti simili. I ricercatori hanno analizzato diverse migliaia di sorgenti X puntiformi e ne hanno identificato proprio due con brillamenti analoghi: una delle due sorgenti ha esibito solo un brillamento X mentre l’altra ne ha mostrato ben cinque.
Gli autori hanno trovato che il tempo impiegato dai brillamenti a raggiungere la luminosità massima è stato inferiore a un minuto in tutti i casi, poi la luminosità è calata nel corso di un’ora. In più, i ricercatori sottolineano che, a differenza di altri oggetti astrofisici che esibiscono brillamenti X o gamma, come ad esempio i lampi gamma o le supernovae, queste sorgenti non si autodistruggono durante il processo delle emissioni violente di alta energia.
Insomma, l’analisi dei brillamenti presentata in questo studio suggerisce che quando questi oggetti non sono attivi essi appaiono come normali binarie X di stelle di neutroni o buchi neri nella fase di accrescimento di materia situate negli ammassi globulari o nelle galassie nane ultra-compatte vicine alle galassie ellittiche.
«I risultati ottenuti dagli autori sono molto intriganti», spiega a Media INAF Matteo Bachetti dell’Osservatorio astronomico di Cagliari dell’INAF. «Se si escludono fenomeni come i lampi gamma, che sono decisamente più energetici, gli altri fenomeni noti capaci di produrre quelle luminosità non sembrano applicabili a questo caso. Ad esempio, se i lampi fossero venuti da regioni ricche di stelle giovani, sarebbe stato molto facile attribuirli a fenomeni noti, come i burst prodotti dalle magnetar, dalle stelle di neutroni relativamente giovani, dato l’elevatissimo campo magnetico. Anche le altre sorgenti note per luminosità paragonabili, le cosiddette Ultraluminous X-ray sources (ULX), sono spesso associate con regioni di recente formazione stellare. In questo caso, però, i lampi vengono da regioni in cui ci si aspetta che le stelle siano relativamente “vecchie”, essendo i campi magnetici delle stelle di neutroni ormai bassi. È quindi probabile che rappresentino un “nuovo” fenomeno che sarà sicuramente interessante investigare più a fondo».
«Nel loro articolo», continua Bachetti, «gli autori presentano alcune ipotesi. Una possibilità è che si tratti di brevissimi periodi di accrescimento di materia attorno a un buco nero di massa intermedia, oggetti difficilissimi da osservare e di enorme importanza per i modelli di evoluzione cosmologica. Un’altra possibilità, invece, è che l’accrescimento avvenga a un ritmo più elevato attorno a una stella di neutroni o un buco nero più piccolo. Quest’ultimo caso sarebbe anch’esso interessante, dato che ancora oggi non è del tutto chiaro il meccanismo che porta le sorgenti a ritmi di accrescimento e, quindi, a luminosità così elevati».
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo su Nature: Jimmy A. Irwin et al. 2016 – Ultraluminous Xray bursts in two ultracompact companions to nearby elliptical galaxies