Juno inizia a fare scienza. Dopo le immagini nell’infrarosso prodotte dallo strumento italiano Jiram, al DPS/EPSC in corso a Pasadena sono stati presentati i primi dati acquisiti dagli altri strumenti della sonda NASA.
E le premesse sono delle migliori. Si tratta di immagini e dati raccolti nel flyby del 27 agosto, il primo effettuato dalla sonda. Quelle pubblicate sono per la maggior parte prodotte dalla JunoCAM, la camera pensata per il pubblico, ma lasciano a bocca aperta. Anche dal punto di vista scientifico.
Prima di tutto si svela finalmente il polo del gigante gassoso, dove dalle prime meravigliose fotografie sono distinguibili cicloni e tempeste. Ma quello che stupisce maggiormente, di queste immagini, è quello che non c’è. Cioè l’assenza di una struttura analoga al famoso esagono di Saturno, struttura che dai modelli teorici della dinamica atmosferica ci si aspettava di poter identificare.
Chiaramente visibile, invece, un gigantesco uragano fotografato vicino al terminatore, nella zona dove la notta si trasforma in giorno. Una struttura così alta da stagliare chiaramente la sua ombra sulla superficie del pianeta.
«Immaginate di sorvolare l’atmosfera del pianeta in aereo», dice Scott Bolton, principal investigator di Juno del Southwest Research Institute in San Antonio. «Vi trovereste davanti questo oggetto dalle dimensioni smisurate, grande circa come metà della Terra. E alto un centinaio di chilometri. È questa la realtà incredibile di Giove».
Tra gli altri risultati presentati, grazie agli strumenti radio, in grado di sfogliare il pianeta proprio come fosse una cipolla, Giove inizia a mostrarci gli strati inferiori nascosti sotto alla sua superficie. Per la prima volta, gli scienziati hanno la certezza che anche in questi strati inferiori le bande colorate e le altre formazioni si muovano ed evolvano proprio come fanno sulla superficie, scivolando sugli strati sovrapposti dell’atmosfera.
Ma questa, dedicata ai risultati scientifici della sonda, è solo la parte positiva della storia. La controparte negativa, su cui il team non ha paura di fornire dettagli nella conferenza stampa a Pasadena, è che, poco prima della conferenza stessa, la sonda è entrata in safe mode. Non è la prima volta che questo accade per Juno.
«Le missioni spaziali sono come dei robot intelligenti», spiega Rick Nybakken, project manager di Juno del JPL. «Se vedono che le condizioni sono leggermente diverse da quelle aspettate, si spengono per sicurezza. Si mettono in una situazione conservativa in cui non rischiano nulla. E aspettano che gli umani, da casa, analizzino la situazione e decidano cosa fare. È questo quello che è successo». C’è da dire che il safe mode non è obbligatoriamente una cosa negativa: al momento Juno sta bene e non ha subito danni, e alla NASA si sta cercando di capire cosa possa essere successo prima di avviare la procedura di riaccensione.
Altro evento che non semplifica la vita del team è la decisione di ritardare l’ingresso nell’orbita più bassa. Il primo giro di Juno intorno a Giove (quello dove sono stati catturati i dati presentati) è stato effettuato su un’orbita alta, con periodo di circa 53 giorni. Oggi, 19 Ottobre, era prevista una manovra di accensione dei motori per portare la sonda in un’orbita finale più bassa, di 14 giorni di periodo. L’accensione non è avvenuta per scelta: per salvaguardare la sicurezza della missione, a seguito della segnalazione di una valvola che non sembrava operare al meglio.
«La situazione è sotto controllo», tranquillizza Bolton, «i dati vengono presi nella fase in cui Juno passa vicino al pianeta, e questa fase è identica per i due tipi di orbita, quella attuale di 53 giorni e quella futura di 14 giorni. Non sappiamo se e quando decideremo di passare all’orbita più bassa, possiamo farlo in qualsiasi momento. Ma potremmo anche restare nell’orbita di 53 giorni e continuare ad ottenere gli stessi dati. Solo, dovremmo avere più pazienza».