Dal 18 al 22 ottobre scorso una cinquantina di insegnanti di scuola primaria e secondaria, provenienti da 26 paesi tra Europa e Africa, si sono dati appuntamento a Leiden, in Olanda, in occasione dello Space Education International Workshop 2016. Il workshop, aperto anche a educatori e comunicatori scientifici, è organizzato su base annuale dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) in collaborazione con il Galileo Teacher Training Program (GTTP), un’iniziativa nata nel 2009, in occasione dell’Anno Internazionale dell’Astronomia, che da allora raccoglie risorse e iniziative per insegnanti di ogni livello scolastico.
Per il 2016 ESA e GTTP hanno unito le proprie forze con Space Awareness, un progetto europeo volto ad ispirare i ragazzi tra gli 8 e i 18 anni ad intraprendere studi di tipo scientifico/tecnologico grazie alla scoperta delle meraviglie del cosmo. Tra i partecipanti di quest’anno c’era anche Barbara Scapellato, insegnante di scienze presso il Liceo Paciolo-D’Annunzio di Fidenza, che abbiamo contattato per farci raccontare la sua esperienza.
Professoressa Scapellato, ci racconti com’è andata a Leiden. Aveva già preso parte ad incontri simili?
«Non era la prima volta per me. Già nel 2011 avevo partecipato, presso il centro ESA-ESTEC a Noordwijk, all’edizione estiva del workshop, ma proprio per questo ero emozionatissima all’idea di ripetere un’esperienza così coinvolgente e motivante. Anche questa volta il programma era davvero ricco: cinque giornate intense in cui si sono alternate presentazioni orali e workshop, i cui temi spaziavano dagli aspetti multiculturali nell’insegnamento delle scienze alle missioni spaziali come Rosetta e Gaia. Moltissimi gli stimoli, impossibile riassumerli in poche righe. Tra le tante attività presentate, ad esempio, ho scoperto il progetto Space Awareness, che non conoscevo, i cui materiali sono già stati tradotti anche in italiano e che offre una impressionante gamma di attività da fare con i ragazzi».
Ce ne può descrivere qualcuna?
«Ad esempio, si può prendere parte a progetti di citizen science come Cosmo Quest, in cui i ragazzi devono contrassegnare la circonferenza dei crateri e indicare le caratteristiche di superficie nelle immagini ad alta risoluzione di Marte, della Luna, degli asteroidi e di Mercurio, o come il Galaxy Zoo, in cui si classificano le forme delle galassie a partire dalle immagini scattate dai telescopi. Space Awareness prevede anche attività sperimentali e in uno dei workshop a cui ho partecipato, The Climate Box, condotto da Markus Nielbock della House of Astronomy di Heidelberg, ne ho potuto realizzare alcune. Grazie a un kit (la Climate Box, appunto) facilmente riproducibile in qualunque contesto scolastico, anche senza laboratorio attrezzato, abbiamo condotto un esperimento che consente di modellizzare l’espansione dell’acqua oceanica a seguito dell’aumento della temperatura. La cosa più interessante è stata che non si è trattato semplicemente di un’analisi di tipo qualitativo, un’attività hands-on, ma, grazie a semplici calcoli su densità e volume, è stato possibile persino quantificare quanto osservato».
Quali, tra tutte le attività proposte, quelle che le sono rimaste più impresse?
«La missione Rosetta è stata una delle mie più grandi passioni, con cui credo di aver contagiato molti dei miei studenti. Ero quindi convinta che a scuola fossi già riuscita a dire tutto. Mi sbagliavo! Grazie al workshop “Rosetta time capsule: journey through space”, condotto da Wendy van den Putte del NEMO Science Centre di Amsterdam, ho capito che c’è ancora tanto che si può “esplorare”. Le attività proposte erano rivolte a studenti più piccoli dei miei, ma nonostante ciò la narrazione presentata e gli esperimenti effettuati hanno acceso la mia fantasia e mi sono venute in mente molte idee nuove da realizzare in classe a cui sto già lavorando nonostante sia appena tornata. Ma se dovessi scegliere l’attività che più di tutte mi ha ispirato non avrei dubbi: il workshop “Mars as the abode of life”, condotto da un insuperabile Anu Ojha, della National Space Academy. In solo un’ora e mezza abbiamo viaggiato nel tempo ripercorrendo la storia della nostra comprensione del Pianeta Rosso, le missioni spaziali del passato e del futuro, ma soprattutto ci ha presentato moltissime idee per attività sperimentali realizzabili con materiali poveri e risorse digitali per esplorare fenomeni complessi come la modellizzazione del campo gravitazionale e delle buche di energia potenziale, ma anche fenomeni più accessibili come le possibili conseguenze delle condizioni presenti sulla superficie del pianeta su esploratori umani, come e perché Marte ha perso la sua atmosfera e molto altro. Un’ora e mezza piena di fascinazione e ricca di scienza».
Insomma, un bilancio estremamente positivo.
«Come dicevo, le parole non sono sufficienti per raccontare un’esperienza così. Non si tratta solo del fatto che sono tornata a casa con molti materiali nuovi da sperimentare e tante idee su cui riflettere. Esperienze come queste sono sicuramente importanti anche per supportare l’insegnamento dell’astronomia, soprattutto se si considera che la maggior parte di noi non ha avuto un percorso di studi specifico, ma ciò che le rende davvero speciali è il fatto che si torna a casa con il cuore gonfio di quell’entusiasmo contagioso in grado di appassionare gli studenti che un giorno, chissà, saranno proprio tra coloro che contribuiranno a scrivere la storia delle prossime esplorazioni spaziali. Ieri mattina sono rientrata a scuola felice ed entusiasta (non vedevo l’ora di raccontare tutto ai miei ragazzi!) con una domanda in testa: perché esperienze come queste si fanno solo all’estero? Non sarebbe fantastico se questi incontri di respiro internazionale si tenessero anche in Italia?»