Si chiama MUSE, ma non ha niente a che vedere con il celebre gruppo musicale inglese: le sue performance migliori le realizza osservando il cielo profondo. MUSE (l’acronimo di Multi Unit Spectroscopic Explorer) è infatti un sofisticato strumento installato sul Very Large Telescope dell’ESO all’Osservatorio del Paranal in Cile, in grado di scomporre e analizzare con grande dettaglio la luce proveniente dai più lontani oggetti celesti dell’Universo. È suo il determinante contributo al lavoro condotto da una collaborazione internazionale tra astronomi, con a capo un gruppo basato all’Istituto ETH (Istituto federale svizzero di tecnologia) di Zurigo, in Svizzera, che ha studiato il gas intorno ad alcune galassie attive remote, a meno di due miliardi di anni dopo il Big Bang. Queste galassie attive, chiamate quasar, contengono nel nucleo buchi neri supermassicci, che consumano stelle, gas e altro materiale a tassi molto elevati. A sua volta ciò provoca l’emissione di enormi quantità di radiazione dal centro della galassia, rendendo i quasar gli oggetti più attivi e più luminosi dell’Universo.
Lo studio, in pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal, ha coinvolto 19 quasar, scelti tra i più brillanti osservabili con MUSE. Indagini precedenti avevano mostrato che circa il 10 % di tutti i quasar esaminati erano circondati da aloni di gas, il cosiddetto mezzo intergalattico. Gli aloni si estendono fino a 300 mila anni luce dal centro dei quasar. La nuova indagine, invece, riserva una sorpresa: ha infatti rivelato la presenza di ampi aloni intorno a tutti i 19 quasar osservati, molti di più dei due attesi su basi statistiche. L’equipe sospetta che questa sia la conseguenza dell’enorme aumento del potere osservativo di MUSE rispetto ai precedenti strumenti analoghi, ma servono nuove osservazioni per determinare se questa sia veramente la giusta interpretazione.
«È ancora troppo presto per dire se il risultato dipende dalla nuova tecnica di osservazione o se questi quasar hanno qualche caratteristica peculiare. C’è ancora molto da imparare: siamo solo all’inizio di una nuova era di scoperte», commenta l’autrice principale dell’articolo, Elena Borisova, dell’ETH di Zurigo.
Lo scopo originario dello studio era di analizzare la componente gassosa dell’Universo sulle scale più grandi, una struttura a volte chiamata rete cosmica, di cui i quasar formano i nodi luminosi. Le componenti gassose di questa rete sono di solito molto difficili da rivelare, così gli aloni di gas brillanti che circondano i quasar forniscono un’opportunità quasi unica di studiare il gas all’interno della struttura cosmica di vastissima scala.
Ma le sorprese non sono finite: il gas intergalattico che forma i 19 aloni è relativamente freddo, circa 10 mila gradi centigradi. E questo è in forte disaccordo con i modelli attualmente accettati della struttura e della formazione delle galassie, che suggeriscono che il gas vicino alle galassie abbia temperature di più di un milione di gradi.
La scoperta mostra le potenzialità dello strumento per osservare questo tipo di sorgenti cosmiche. Ne è entusiasta Sebastiano Cantalupo, tra i coautori dello studio: «Abbiamo sfruttato le capacità uniche di MUSE per realizzare questo studio che apre la via a future indagini. Combinato con una nuova generazione di modelli teorici e numerici, questo approccio terrà aperta una nuova finestra sulla formazione della struttura cosmica e sull’evoluzione delle galassie».
Fonte: comunicato stampa ESO