Stephen Hawking ritiene che gli alieni esistano, e che «un giorno forse riceveremo un segnale da un pianeta come Gliese 832c, ma dobbiamo stare attenti a rispondere». Ma vogliamo davvero continuare a cercare ET? Che crediate o meno agli alieni, la ricerca di altre forme di vita intelligente là fuori nell’Universo continua, e sono disponibili numerosi strumenti per captare i segnali radio provenienti – chissà – da altre civiltà (magari più avanzate della nostra). Il programma internazionale che riunisce diversi radiotelescopi in tutto il mondo è SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), e si occupa proprio della ricerca di intelligenza extraterrestre: lo scopo non è solo ricevere eventuali segnali, ma anche quello di inviare segnali radio nello spazio sperando in una risposta. Avete presente Jodie Foster nel film Contact? Era una scienziata del progetto SETI a caccia di alieni.
Per ora dobbiamo ancora attestarci su un nulla di fatto, ma i radiotelescopi sul nostro pianeta che puntano le loro grandi “orecchie” sono tanti. Di recente il telescopio australiano Parkes del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) si è unito al programma di ricerca statunitense da 100 milioni di dollari Breakthrough Listen portato avanti al Green Bank Telescope in West Virginia e all’Automated Planet Finder presso il Lick Observatory in California. L’osservatorio Parkes si trova nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, e ospita un radiotelescopio da ben 64 metri di diametro, conosciuto da tutti come “The Dish” (il disco), che è operativo dal 1961. Nel 1969, pochi anni dopo la sua inaugurazione, giocò un ruolo importante durante lo sbarco dell’uomo sulla Luna. Anni dopo ha portato a casa significative scoperte, tra pulsar e Fast Radio Burst (FRB). Parkes è in una posizione ideale per osservare sezioni del cielo che non possono essere osservato dell’emisfero settentrionale, tra cui il centro della nostra Via Lattea, vaste aree del piano galattico, e numerose altre galassie nel vicino Universo.
Oggi, martedì 8 novembre, il programma “Breakthrough Listen at Parkes” ha avuto il suo battesimo di fuoco, che in realtà gli esperti nel campo dell’ottico chiamano “prima luce”: il radiotelescopio australiano ha osservato un pianeta simile alla Terra scoperto recentemente attorno alla stella più vicina a noi, Proxima Centauri. Pianeti come Proxima b potrebbero nascondere acqua liquida sulla superficie, il che li rende buoni candidati sia per trovare altre civiltà sia, sognando un po’, per sperare d’andare un giorno a viverci. In ogni caso, il solo fatto di presentare acqua allo stato liquido rende questi esopianeti i target principali della survey Breakthrough Listen e del progetto SETI, anche se le probabilità di trovarci effettivamente delle forme di vita che vadano oltre quella batterica sono a dir poco esigue. Nello specifico, il programma di ricerca Breakthrough Listen utilizzerà il 25 per cento del tempo di osservazione disponibile sul radiotelescopio Parkes nel corso dei prossimi cinque anni.
Dall’Australia all’Italia, anche i radiotelescopi INAF hanno un ruolo nella ricerca in campo SETI. Le antenne di Medicina (Bologna) hanno lavorato in questo ambito dal 1998 al 2008 con un sistema di analisi (Serendip IV) proveniente dall‘Università di Berkeley. È ormai fuori uso, ma si sta già cercando di assemblare un nuovo analizzatore di spettro ad alta risoluzione frequenziale a costo molto basso, sfruttando il radiotelescopio per SETI a tempo pieno senza turbarne le normali attività.
Stelio Montebugnoli, storico responsabile del SETI Italia e ricercatore, ora in pensione, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha spiegato: «Quello che intenderei portare avanti alla stazione di Medicina per il SETI è un nuovo concetto di data processing: al momento in tutto il mondo (noi compresi) si sfruttano sofisticati analizzatori di spettro ad alta risoluzione per identificare, nel rumore di fondo, eventuali segnali monocromatici inviati intenzionalmente da un eventuale ET per segnalare la sua presenza. Si pensa, in questo caso, a un segnale monocromatico (semplice portante radio) facilmente riconoscibile perché non presente in natura. Nel caso ET non si curi o non sappia di noi (cosa molto probabile!!), potrebbe comunque usare le tecniche radio più disparate per le “proprie” comunicazioni. Il nuovo sviluppo osservativo dovrebbe quindi riguardare la ricerca della presenza di un segnale radio dallo spazio, modulato in modo sconosciuto immerso in un mare di rumore di fondo». Per fare ciò, a Medicina si userà la parabola VLBI da 32 m per verificare le potenzialità di utilizzo di vari metodi di detection, come gli oscillatori di Duffing e la risonanza stocastica. La stessa cosa si potrebbe fare con la parabola di Noto.
Numerose sono le attività SETI anche in Sardegna, soprattutto nell’ambito della ricerca portata avanti dai radioastronomi del Sardinia Radio Telescope (SRT) dell’INAF. Le attività di Cagliari sono orientate principalmente allo sviluppo di nuovi ricevitori digitali dotati di data processing veloci e riconfigurabili. Sfruttando questi sistemi, si prevede di implementare gli algoritmi matematici della trasformata di Fourier veloce (FFT), la Kahrunen-Loeve Transform e, infine, le wavelet. Nei prossimi mesi è in programma a Cagliari un incontro con i responsabili del progetto Breakthrough Listen SETI (Pete Worden, Andrew Siemion, Dan Werthimer e Yuri Milner) per valutare la possibilità che SRT affianchi il radiotelescopio australiano e quello statunitense puntando pianeti potenzialmente abitabili con tempo telescopio dedicato.
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