Grandi o piccole poco conta: il percorso che porta alla formazione delle stelle più massicce è simile a quello seguito dalle loro sorelle minori, di massa più limitata. Quel che fa la differenza è la potenza delle improvvise esplosioni che si verificano sulla loro superficie, molto più elevata per i giovani astri di stazza maggiore. La conferma arriva da un team di astronomi, guidato da Alessio Caratti o Garatti del Dublin Institute for Advanced Studies (Irlanda) e di cui fanno parte anche alcuni ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, grazie a una combinazione di immagini e spettri raccolti da numerosi telescopi di punta: quelli degli osservatori Gemini e Calar Alto e del VLT dell’ESO da terra, e il telescopio SOFIA della NASA imbarcato su un aereo Boeing 747. Dati che mostrano come anche nel processo di formazione delle stelle più massicce si registrino degli outburst – esplosioni episodiche – all’interno dei cosiddetti “dischi di accrescimento” presenti nella fase di formazione attorno alle stelle di massa molto più piccola, come il nostro Sole.
«Queste esplosioni, che sono di diversi ordini di grandezza superiori rispetto a quelle delle stelle di massa inferiore, possono rilasciare una quantità d’energia pari a quella emessa dal nostro Sole in oltre 100mila anni», dice Caratti o Garatti. «Possiamo dunque assistere a fuochi d’artificio non soltanto al termine della vita delle stelle massicce, con le supernovae, ma anche, in modo sorprendente, al momento della loro nascita». Il risultato ottenuto, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature Physics, mostra per la prima volta in modo chiaro come anche le stelle massicce possano formarsi a partire da dischi di gas e polveri, più o meno come avviene per le stelle meno massicce. Fino a oggi si riteneva, invece, che dischi di accrescimento come quelli osservati attorno alle stelle di massa minore non sarebbero stati in grado di resistere alla forte pressione esercitata dalla radiazione emessa da stelle di grande massa. Dunque si pensava che, per giustificare l’esistenza di stelle che possono arrivare anche a 50 o 100 volte la massa del Sole, fosse inevitabile che entrassero in gioco altri processi.
«In che modo i dischi di accrescimento riescano a sopravvivere attorno a stelle così massicce continua a rimanere un mistero», sottolinea Caratti o Garatti, «ma le osservazioni spettroscopiche compiute con Gemini mostrano le stesse “impronte digitali” che vediamo per le stelle di massa inferiore. Probabilmente gli outburst – le esplosioni prodotte nel disco di accrescimento – hanno l’effetto di ridurre la pressione dovuta alla radiazione in uscita dalla sorgente centrale, consentendo così alla stella di formarsi. Dobbiamo però prima a rispondere a molte altre domande, per riuscire a spiegare ciò che abbiamo osservato». «E’ comunque importante notare che recentemente alcuni modelli teorici hanno previsto l’esistenza dei dischi attorno a stelle decine di volte più massicce del Sole e i risultati delle nostre osservazioni contribuiranno a confermare e perfezionare tali modelli» aggiunge Riccardo Cesaroni, dell’Inaf di Arcetri (Firenze) che ha partecipato allo studio.
La stella in via di formazione protagonista di questo lavoro, S255IR NIRS 3, è un oggetto relativamente distante da noi, circa seimila anni luce, e si stima che abbia una massa grosso modo pari a 20 volte quella del Sole. Le osservazioni condotte con Gemini mostrano come la sorgente dell’emissione esplosiva sia un enorme ammasso di gas – parliamo, probabilmente, di una massa di materia doppia rispetto a quella dell’intero Giove – accelerato a velocità supersoniche fino a essere inghiottito dalla stella in via di sviluppo. L’emissione, secondo le stime degli scienziati, ha avuto inizio circa 16 mesi fa, e secondo Caratti o Garatti potrebbe essere ancora in atto, sebbene con molta meno forza.
«Se le stelle di piccola massa, ed eventuali sistemi planetari, riescono a formarsi a poca distanza dal Sole, il processo all’origine di quelle di grande massa è più complesso, relativamente rapido, e tende ad avvenire in regioni piuttosto lontane della nostra galassia: a migliaia, se non addirittura a decine di migliaia di anni luce di distanza da noi», spiega Caratti o Garatti, osservando come la formazione di stelle così massicce avvenga su scale temporali di 100mila anni, mentre le stelle di massa inferiore, come appunto il Sole, richiedono un tempo centinaia di volte più lungo. «Rispetto a quelle meno massicce, studiare la formazione di stelle di grande massa è un po’ come guardare un’azione in timelapse. In ogni caso, anche se il processo all’origine delle stelle più massicce è veloce e violento, richiede comunque decine di migliaia di anni».
Per saperne di più:
- leggi l’articolo Disk-mediated accretion burst in a high-mass young stellar object di A. Caratti o Garatti, B. Stecklum, R. Garcia Lopez, J. Eislöffel, T. P. Ray, A. Sanna, R. Cesaroni, C. M. Walmsley, R. D. Oudmaijer, W. J. de Wit, L. Moscadelli, J. Greiner, A. Krabbe, C. Fischer, R. Klein J. M. Ibañez sul sito della rivista Nature Physics