Una numerosa presenza di antiche galassie nane è stata osservata, grazie al fenomeno della lente gravitazionale, a miliardi di anni luce di distanza. La ricerca è stata pubblicata su The Astrophysical Journal ed è firmata da un team di astronomi guidata dalla University of California, Riverside. Secondo la teoria della relatività generale, il fenomeno della lente gravitazionale è una deflessione della radiazione elettromagnetica introdotta dalla presenza di una massa posta tra la sorgente e l’osservatore. La scoperta di questa vasta popolazione di galassie nane può aiutare a comprendere l’evoluzione dell’universo primordiale. Gli astronomi ritengono che le galassie nane più antiche abbiano avuto un ruolo cruciale nella reionizzazione, contribuendo a trasformare l’universo da scuro, neutro e opaco qual era a luminoso, ionizzato e trasparente come lo vediamo oggi.
Tanto piccole quanto importanti, le galassie nane sono però estremamente deboli e difficili da catturare, anche con i telescopi più potenti. Senza poterle studiare, il puzzle dell’universo primordiale rimane incompleto, ma grazie a strategie osservative come, quella utilizzata in questo studio si possono recuperare informazioni chiave. Già nel 2014 il team di UC Riverside, guidato da Brian Siana, aveva individuato un ammasso di galassie, Abell 1689, da sfruttare come lente gravitazionale, e aveva intravisto tracce di quella che sembrava essere una grande popolazione di galassie nane lontane.
Per condurre la sua ricerca, Anahita Alavi, ricercatrice postdoc nel gruppo di Siana, è partita proprio da quello studio. L’osservazione è stata possibile grazie alla Wide Field Camera 3 montata a bordo del telescopio spaziale Hubble, che ha ottenuto immagini profonde di tre ammassi di galassie nane risalenti al periodo in cui l’universo aveva fra i due e i sei miliardi anni, epoca in cui era incredibilmente produttivo nella formazione stellare.
Per avere conferma del fatto che le galassie appartenessero a quell’epoca, il team ha utilizzato i dati raccolti da MOSFIRE, lo spettrografo multi-oggetto a infrarossi montato sul W.M. Keck Observatory. Le nane, da 10 a 100 volte più deboli rispetto ad altre galassie risalenti allo stessa periodo di riferimento, sono molto più numerose rispetto alle loro omologhe più brillanti. Lo studio guidato da Alavi dimostra che il numero delle nane, in quel periodo cruciale, evolve in modo tale da suggerire che fossero ancora più abbondanti in epoche precedenti.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo ““The Evolution Of The Faint End Of The UV Luminosity Function During The Peak Epoch Of Star Formation (1 < z < 3)“, di Anahita Alavi et al.