ANTENNE FINANZIATE DA INAF E REGIONE SARDEGNA

Al via la sperimentazione delle tecnologie di Ska

Il nuovo array installato in Sardegna vuole essere un primo banco di prova a livello nazionale con cui sperimentare tecnologie e tecniche di calibrazione che saranno impiegate negli “aperture array” di nuova generazione, primi fra tutti quelli a bassa frequenza dello Square Kilometre Array

     25/11/2016
Le 128 antenne Vivaldi di Sad, il Sardinia Aperture-array Demonstrator, installate nei giorni scorsi presso il sito di Srt

Le 128 antenne Vivaldi di Sad, il Sardinia Aperture-array Demonstrator, installate nei giorni scorsi presso il sito di Srt

A guardarle ergersi al sole lì, fra la terra ancora fangosa che circonda l’enorme parabola da 64 metri di diametro del Sardinia Radiotelescope (Srt), ognuna con i suoi quattro grandi petali verticali di spessa griglia metallica, sembrano piante aliene di chissà quale pianeta. Invece sono antenne, antenne per la ricezione di segnali radio dal cosmo, e sono più terrestri che mai: realizzate in Sardegna, quindi montate e “piantate” una a una, a mano, da una squadra dell’Istituto nazionale di astrofisica – in particolare, personale dell’Osservatorio astronomico di Cagliari e dell’Ira di Bologna. Serviranno a sperimentare tecnologie e tecniche di calibrazione per i futuri “aperture array”, primi fra tutti quelli a bassa frequenza di Ska, lo Square Kilometre Array.

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Il Murchison Widefield Array (MWA), prototipo precursore di Ska installato in Australia

«Ska è un progetto ciclopico che prevede l’installazione di migliaia di antenne in Australia e Sud-Africa, di cui si stanno sperimentando i prototipi in varie parti del mondo», dice Nichi D’Amico, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, «ed è per noi motivo di soddisfazione vederne sorgere uno in Italia».

Il nome in codice della “piantagione sarda” è Sad (acronimo di Sardinia Aperture array Demonstrator), la “semina” è terminata nei giorni scorsi e il “raccolto” consisterà in onde radio a bassa frequenza provenienti da tutto il cielo. Già, perché una fra le caratteristiche più interessanti di queste antenne, il cui disegno è noto fra i radioastronomi come “Vivaldi”, è che non osservano un punto in particolare, ma vedono tutto il cielo contemporaneamente. Un’altra caratteristica che fa gola, in questi tempi di risorse per la ricerca sempre più risicate, è il prezzo.

«Non avendo parti mobili, che costituiscono la gran parte del costo di un telescopio avanzato come Srt, insostituibile per osservazioni alle alte frequenze, array di piccole antenne come queste di Sad permettono di abbattere notevolmente i costi. Il costo di Srt è di circa 10mila euro al metro quadro», calcola a spanne Matteo Murgia, ricercatore all’Inaf di Cagliari, riferendosi all’area di raccolta dell’enorme parabola, «mentre quello di Sad si aggira attorno al migliaio di euro al metro quadro, elettronica inclusa».

Tante le antenne, ma molti anche gli istituti che hanno contribuito a pensarle, disegnarle e realizzarle: all’Inaf, oltre a Cagliari e Bologna, anche gli osservatori di Arcetri e Catania, e da Torino personale del Cnr e del Politecnico.

«Scopo principale di Sad», spiega Murgia, «è essere un dimostratore per questo nuovo tipo di tecnologia, che è entusiasmante ma è nuova, dunque ha bisogno di essere conosciuta e sperimentata. Vogliamo anzitutto farne un banco di prova nazionale per tutti gli astronomi e i tecnologi che vogliano sperimentare queste tecniche di calibrazione e di osservazione. Nell’ultimo decennio, infatti, ci si è concentrati, anche a livello internazionale, su questo nuovo tipo di dispositivi, composti non più da una grande antenna orientabile ma da una schiera – questo vuol dire il suo nome – di tantissime piccole antenne senza parti mobili e controllabili elettronicamente».

«Il segnale elettromagnetico catturato dallo spazio», aggiunge Jader Monari, dell’Istituto di radioastronomia dell’Inaf di Bologna, «viene amplificato, condizionato e acquisito da sistemi particolari, molto complessi. Tocca infatti a loro realizzare un “beam elettronico”: l’equivalente di ciò che, in un radiotelescopio “normale”, fa una parabola orientandosi meccanicamente. In pratica, vengono acquisiti tutti i segnali dalle antenne, digitalizzati, e tramite sistemi dedicati si riesce a far sì che si comportino come “occhi elettronici” in gradi di puntare in ogni direzione del cielo».

Guarda il servizio video di INAF-TV: