Dai un chip a un astronauta e lo terrai in vita per qualche mese, insegnagli a stamparlo e lo salverai fino alla termine della missione. Devono aver letto Confucio, all’Ames Research Center della Nasa. Messi davanti al problema di dover garantire ai futuri esploratori marziani un rifornimento adeguato di dispositivi elettronici salvavita, hanno deciso che la soluzione migliore è dotare gli equipaggi di strumenti per costruirseli in loco. Nascono così le stampanti a getto di plasma, come quella descritta sull’ultimo numero di Applied Physics Letters, sviluppate da un team guidato da Ram Gandhiraman. Stampanti in grado di generare un sottile getto di particelle di semiconduttore su substrati di materiale flessibile ed economico, per esempio stoffa, così da produrre a richiesta, per esempio, dispositivi elettronici indossabili.
Che genere di dispositivi? Anzitutto sensori, spiegano allo SLAC, il laboratorio di Stanford dove stanno caratterizzando e verificando la qualità dei prototipi prodotti con questo processo. Sensori progettati per monitorare parametri vitali, per misurare la concentrazione di neurotrasmettitori quali la dopamina e la serotonina, o ancora per rilevare la presenza nell’ambiente di particolari molecole, per esempio l’ammoniaca. Sensori cruciali per la sopravvivenza in ambienti ostili, come appunto quello marziano, ma soggetti a usura. Ecco dunque l’importanza di poterli riprodurre a piacere.
Non solo: oltre a eliminare il problema delle scorte, il processo di stampa messo a punto dalla Nasa è pensato per garantire gli approvvigionamenti anche in assenza di materie prime ad hoc. «La nostra stampante dovrebbe essere in grado di fabbricare, nello spazio, i dispositivi on-demand facendo uso sia di risorse già presenti su Marte sia di rifiuti o altro materiale di scarto», dice Gandhiraman. Analoga indipendenza dalle scorte anche per quanto riguarda i gas, per esempio l’elio, necessari a generare il flusso di plasma: se sulla Terra occorre acquistarne qualche bombola, su Marte dovrebbero essere disponibili in atmosfera.
Per non parlare dell’inchiostro, chiamiamolo così: la prossima tappa in programma al laboratorio Nasa è lo sviluppo di un processo produttivo che utilizzi batteri in grado di riciclare, durante le missioni di lunga durata, i metalli necessari all’elettronica. E di trasformarli nel “bioinchiostro” con il quale riempire le cartucce della stampante a getto di plasma. Applicazioni futuristiche ma a portata di mano, queste per il riciclo dei metalli e della stampa di circuiti elettronici su superfici flessibili, che farebbero gola anche qui sul nostro pianeta. Anzi, forse soprattutto sul nostro pianeta.