Era il 1676 quando l’astronomo danese Ole Rømer determinò, dopo anni di osservazioni, la velocità della luce nel vuoto che, come è noto, è pari a circa 300 mila chilometri al secondo. Si tratta di una costante imprescindibile per i fisici di tutto il mondo, perché nulla è più veloce della luce ed è quindi un limite con cui tutti noi dobbiamo fare i conti in un modo o nell’altro. E per celebrare il 340esimo anniversario della determinazione di questo valore, Google ha dedicato il suo doodle animato proprio alla scoperta che ha cambiato per sempre il mondo di guardare l’Universo portando poi a numerose teorie rivoluzionarie, come quelle di Albert Einstein.
I risultati vennero pubblicati il 7 dicembre 1676 in uno studio intitolato “Démonstration touchant le mouvement de la lumière trouvé par M. Roemer de l’Académie des sciences“. La scoperta (come tutte le rivoluzioni scientifiche) non venne accettata subito, solo qualche decennio dopo la sua morte, con la misura della cosiddetta aberrazione della luce di James Bradley nel 1727, il mondo non potè più negare la grande intuizione dell’astronomo danese.
Nel doodle, disponibile quasi in tutto il mondo, l’iconica scritta “Google” diventa il disegno che spiega la sua scoperta, con il pianeta Terra, il Sole, Giove e la luna Io. I programmatori del colosso di Mountain View hanno raffigurato nel doodle l’astronomo a lavoro con i suoi strumenti, con i quali arrivò alla scoperta che spazzò via tutte le teorie precedenti, comprese quelle di Galileo Galileo (che tentò – fallendo – di misurare la velocità della luce utilizzando due lanterne a una distanza di un miglio l’una dall’altra). Rømer riuscì, invece, a capire a quanto viaggia la luce nel vuoto basandosi su Io, il più interno dei satelliti medicei di Giove nonché il quello più denso di tutti nel nostro Sistema solare. Durante le sue osservazioni tra il 1672 e il 1675, Giove eclissò la sua luna Io 140 volte. Rømer confrontò le sue misure con quelle prese dal suo capo all’Osservatorio di Parigi Giovanni Domenico Cassini (che scoprì quattro dei satelliti gioviani – Giapeto, Rea, Dione e Teti – oltre alla Divisione di Cassini negli anelli di Saturno e la Grande Macchia Rossa di Giove): i dati vennero raccolti da Parigi e da Uraninborg (vicino a Copenaghen) e proprio confrontando i tempi delle eclissi e calcolando la differenza di longitudine tra i due luoghi di osservazione si arrivò alla velocità della luce.
I due scienziati si accorsero che le eclissi diventavano più brevi quando la Terra si avvicinava a Giove e più lunghe quando la Terra si allontanava dal quarto pianeta del Sistema solare. Da qui l’intuizione geniale: l’astronomo danese si convinse che le variazioni nei dati (circa 20 minuti) erano legate al tempo che impiegava la luce a raggiungere la Terra da Giove. Secondo Romer, la luce avrebbe impiegato 22 minuti per percorrere il diametro dell’orbita terrestre: all’epoca ovviamente l’astronomo aveva un valore impreciso del diametro dell’orbita terrestre, infatti il valore da lui calcolato avrebbe restituito una velocità della luce di 220mila chilometri al secondo. Anni dopo il matematico olandese Christiaan Huygens (a cui è dedicato l’omonimo lander della sonda Cassini) riuscì a precisare il valore con un numero molto vicino a quello accettato universalmente oggi: 299.792.458 metri al secondo. Quindi la luce non ha una velocità infinita, come creduto per molti secoli, ma finita – anche se decisamente molto elevata (oggi si sa che la luce per percorrere un diametro medio dell’orbita della Terra intorno al Sole impiega 16 minuti e 40 secondi).
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