“Infiniti soli, infiniti mondi…” presagiva Giordano Bruno più di quattro secoli fa. Oggi ci chiediamo come siano fatti, tali infiniti mondi, che abbiamo effettivamente cominciato a enumerare al di fuori del Sistema solare. Un nuovo studio statistico degli esopianeti trovati attraverso una tecnica chiamata delle microlenti gravitazionali suggerisce che pianeti con una massa simile a quella di Nettuno sono probabilmente il tipo più comune nella fascia più esterna e ghiacciata dei sistemi planetari.
Lo studio, recentemente pubblicato su Astrophysical Journal, fornisce la prima indicazione del tipo di pianeti che gli scienziati si aspettano di trovare oltre la linea di neve (snow line, frost line), quella zona più distante dalla stella ospite in cui l’acqua è rimasta allo stato solido durante la formazione planetaria. Una condizione che, aumentando il materiale a disposizione, dovrebbe avere reso più efficiente il meccanismo di formazione di questi corpi celesti. Nel Sistema solare, si ritiene che la linea di neve fosse localizzata a circa 2.7 volte la distanza Terra-Sole, dove oggi si trova la fascia principale degli asteroidi tra Marte e Giove.
Contrariamente ad alcune predizioni teoriche, il nuovo studio ha rilevato che i pianeti di massa nettuniana, pari a circa 17 volte quella terrestre, risultano circa 10 volte più comuni dei pianeti di massa gioviana, oltre 300 volte più massicci della Terra, a distanze orbitali paragonabili a quelle di Giove.
Le cosiddette microlenti gravitazionali sfruttano gli effetti di curvatura della luce indotta da oggetti massicci, effetti previsti dalla teoria della relatività generale di Einstein. Tale “piegatura” si verifica quando una stella in primo piano, che funge da “lente”, si allinea in modo casuale, secondo il punto di vista dalla Terra, con una stella più distante.
Mano a mano che la stella “lente” percorre la sua orbita intorno alla galassia, l’allineamento si sposta nel corso di giorni o settimane, cambiando la luminosità apparente della sorgente. L’analisi precisa di questi cambiamenti fornisce agli astronomi indizi circa la natura della stella “lente”, compresi eventuali pianeti che potrebbe ospitare.
Tra il 2007 e il 2012 la collaborazione nippo-neozelandese Microlensing Observations in Astrophysics (MOA) ha analizzato quasi 1500 eventi di microlente gravitazionale, trovando 22 pianeti, di cui 4 mai rilevati in precedenza. Unendo questi dati con quelli rilevati da studi simili, i ricercatori hanno determinato che per una tipica stella dotata di Sistema planetario, con un massa attorno al 60 per cento di quella del Sole, il pianeta “modello” che risulta dalle microlenti gravitazionali possiede una massa tra 10 e 40 volte quella della Terra.
Finora, con le microlenti gravitazionali sono stati scoperti una cinquantina di esopianeti, molti meno rispetto alle migliaia rilevati con altre tecniche, come il transito o le velocità radiali. Poiché gli allineamenti tra stelle sono rari e si verificano in modo casuale, gli astronomi devono osservare milioni di stelle per cogliere i cambiamenti di luminosità che segnalano un evento di microlente gravitazionale.
Tuttavia, sottilineano i ricercatori, il metodo delle microlenti detiene un grande potenziale, permettendo di rilevare pianeti centinaia di volte più lontani rispetto ad altri metodi. Inoltre, questa tecnica è in grado di individuare pianeti extrasolari di massa relativamente piccola anche a grandi distanze dalla loro stella ospite, ed è anche abbastanza sensibile da poter trovare pianeti “solitari”, fluttuanti liberamente in mezzo alla galassia senza essere associati a una stella.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo “The Exoplanet Mass-Ratio Function from the MOA-II Survey: Discovery of a Break and Likely Peak at a Neptune Mass”, della MOA collaboration, pubblicato su Astrophysical Journal
Guarda ilservizio video di INAF-TV: