Conoscere il percorso è come stare a metà dell’opera. Le sonde Voyager 1 e 2 sfrecciano in territori mai esplorati prima mentre il loro viaggio viene monitorato dal telescopio spaziale Hubble, con l’obiettivo di caratterizzare le proprietà fisiche dell’ambiente interstellare locale attraversato dalle sonde. Un’analisi preliminare delle osservazioni di Hubble rivela una ricca e complessa ecologia interstellare, un manto di molteplici nubi d’idrogeno imbastite ad altri elementi. Grazie alla combinazioni dei dati di Hubble e delle Voyager, sono state ottenute nuove informazioni su come il nostro Sole viaggi attraverso lo spazio interstellare. Informazioni che sono state presentate la scorsa settimana al meeting invernale dell’American Astronomical Society a Grapevine, in Texas.
«Questa è una grande opportunità per confrontare i dati delle misure in situ dell’ambiente spaziale, provenienti dalle sonde Voyager, e le misure telescopiche di Hubble», ha detto il leader dello studio Seth Redfield della Wesleyan University di Middletown, Connecticut. «Le Voyager», aggiunge Redfield «stanno campionando piccole regioni mentre le percorrono a circa 61 mila km orari, ma non abbiamo idea se queste aree specifiche siano tipiche o rare. Le osservazioni di Hubble ci forniscono una visione più ampia e allargata, restituendoci il contesto di ciò che ciascuna Voyager sta attraversando».
Le Voyager furono lanciate dalla Nasa nel 1977. Entrambe hanno esplorato i pianeti esterni Giove e Saturno, mentre solo Voyager 2 ha visitato Urano e Nettuno. Voyager 1 si trova attualmente a quasi 21miliardi di km dalla Terra, risultando il più remoto manufatto umano, mentre Voyager 2 è a “soli” 17 miliardi di km. Mantenendo la traiettoria attuale, tra 40mila anni la prima sonda passerà a 1.6 anni luce dalla stella Gliese 445, nella Costellazione della Giraffa, mentre la seconda gemella “sfiorerà” la stella Ross248 a 1.7 anni luce di distanza.
Per i prossimi dieci anni, le sonde pioniere effettueranno misurazioni lungo il loro percorso del materiale interstellare, dei campi magnetici e dei raggi cosmici, mentre Hubble mapperà la struttura interstellare dell’itinerario, analizzando con lo spettrografo di bordo come il mezzo interstellare assorbe la luce proveniente dalle stelle di sfondo. Una prima analisi della composizione delle nubi rivela lievi variazioni nella percentuale di elementi chimici presenti. «Queste variazioni potrebbero significare che le nuvole si formano in modi diversi, o provengono da aree diverse, per poi riunirsi» ha detto Redfield.
Dai dati di Hubble i ricercatori ipotizzano che il Sole stia passando attraverso un agglomerato di materiale che potrebbe influenzare la sua eliosfera, quella grande “bolla” che contiene il nostro Sistema solare e che viene prodotta dal potente vento solare della nostra stella. Al suo confine, l’eliopausa spinge verso l’esterno contro il mezzo interstellare. I dati combinati di Hubble e Voyager 1 fanno ritenere che il vento possa provenire da stelle diverse dal nostro Sole. «Sono davvero incuriosito dall’interazione tra le stelle e l’ambiente interstellare», aggiunge Redfield, «questi tipi di interazioni si stanno verificando intorno a gran parte delle stelle e si tratta di un processo dinamico».