Le pulsar, come veri e propri fari cosmici, passano la vita a spazzare l’universo con la loro emissione luminosa. Da quando sono state osservate la prima volta, 50 anni fa, continuano a regalare agli astronomi scoperte e colpi di scena. Due studi recenti, apparsi sulla rivista scientifica The Astrophysical Journal, si sono occupati dello studio di due pulsar – Geminga e PSR B0355+54 – e della loro emissione ai raggi X. I dati raccolti dal telescopio spaziale Chandra della NASA permettono ora di far luce sull’emissione di questi due oggetti estremi e peculiari.
Le stelle di neutroni, che in alcuni casi diventano pulsar, nascono da esplosioni di supernova, ovvero la naturale fine della vita di una stella massiccia. Le prime a essere scoperte emettevano in banda radio, ma negli ultimi decenni è stato possibile rilevare che alcune pulsar rilasciano anche raggi X e gamma. È interessante notare che non tutte le pulsar emettono radiazione alle alte energie, e che le regioni di emissione raramente corrispondono. Queste differenze hanno alimentato negli anni il dibattito sul modello che meglio spiega la morfologia di questi corpi celesti.
«Non ci è ancora chiaro come mai ci siano tutte queste differenze tra una pulsar e l’altra», dice Bettina Posselt, ricercatrice alla Pennsylvania State University, prima autrice dell’articolo sulla pulsar Geminga, e co-autrice del secondo. «Una delle idee che abbiamo è che le differenze osservate tra gli impulsi siano dovute alla geometria del singolo oggetto, e da come sono orientate rispetto alla linea di vista l’asse di rotazione e quello magnetico».
Le immagini raccolte da Chandra forniscono agli astronomi un punto di vista estremamente ravvicinato sulla geometria dei venti di particelle cariche che vengono irradiate dalle pulsar. Le nebulose generate dal vento delle pulsar (pulsar wind nebulae) sono prodotte dall’espulsione di particelle energetiche lungo le linee di campo magnetico della stella. Tali particelle andranno a formare un toro, ovvero un anello a forma di ciambella, attorno al piano equatoriale della pulsar, e dei getti lungo l’asse di rotazione.
«Grazie alle capacità di imaging di Chandra siamo riusciti a ricostruire la struttura 3D delle pulsar wind nebulae con un dettaglio senza precedenti», spiega Roger Romani, della Stanford University, coinvolto in entrambi gli studi. «Siamo felici che sia stato possibile ottenere esposizioni così lunghe, che ci permettono di risalire alla distribuzione spaziale del plasma».
La nube che circonda la pulsar Geminga è estremamente peculiare, con ben tre code che si estendono per oltre mezzo anno luce, circa mille volte la distanza tra il Sole e Plutone. Quella che circonda PSR B0355+54 è molto diversa, con la pulsar ricoperta da una specie di cappello da un lato e una doppia coda dall’altro, con un’estensione di quasi cinque anni luce a partire dalla stella.
Se da un lato Geminga mostra impulsi alle alte energie, ma è inattiva nella banda radio, PSR B0355+54 è una delle pulsar più brillanti nel radio, e ha una debole emissione alle alte energie. «Le strutture delle code sembrano aiutarci a capire perché, assumendo che l’orientamento degli assi di rotazione e del campo magnetico influenzino ciò che vediamo da Terra», spiega Posselt. «Geminga potrebbe avere poli magnetici che noi vediamo radenti all’orizzonte, e gli assi quasi allineati, come accade sulla Terra. Nel caso di PSR B0355+54, invece, sembra che uno dei poli magnetici punti verso di noi. L’emissione radio si verifica nei pressi dei poli, mentre quella ad alte energie proviene da zone più distanti dalla stella, spazzando una regione di cielo più ampia». In questo quadro, nel caso di Geminga stiamo osservando l’emissione più energetica, mentre quella radio non ci colpisce e rimane invisibile, e nel caso di PSR B0355+54, al contrario, l’emissione radio proveniente dal polo magnetico punta verso di noi e fa apparire la pulsar estremamente brillante, mente l’emissione ad alta energia si diffonde prevalentemente lungo il piano del cielo.
Sebbene rimangano aperti altri scenari teorici, non c’è dubbio che le immagini raccolte dal telescopio Chandra abbiano permesso di svolgere studi con un livello di dettaglio senza precedenti. Abbiamo raggiunto Niccolò Bucciantini, ricercatore dell’INAF di Arcetri, coinvolto in entrambi gli studi su questi oggetti, al quale abbiamo chiesto di raccontare l’importanza di questi risultati nell’ambito della ricerca sulle pulsar. «A causa della combinazione di campi magnetici molto intensi e in rapida rotazione, le pulsar sono in grado di accelerare particelle ad altissima energia generando un vento la cui interazione con l’ambiente circostante dà luogo a una nebulosa di sincrotrone nota come plerione», spiega Bucciantini. «Grazie ai progressi osservativi nella banda X, e al recente sviluppo di modelli teorici a cui i ricercatori INAF hanno contribuito in modo sostanziale, è possibile oggi utilizzare le osservazioni ad alta risoluzione sulla morfologia dei plerioni, per ricavare informazioni sui processi di accelerazione di particelle nelle pulsar: la struttura del loro campo magnetico, la composizione del vento, l’efficienza di accelerazione, eccetera. Dato che le pulsar sono ritenute generalmente un prototipo di acceleratore cosmico, la possibilità di studiare in dettaglio le proprietà dei flussi di particelle da loro generati è fondamentale per poter verificare la validità dei modelli teorici, spesso applicati anche ad altri fenomeni astrofisici».
Per saperne di più, leggi su The Astrophysical Journal gli articoli:
- “Geminga’s puzzling pulsar wind nebula” di B. Posselt, G. G. Pavlov, P. O. Slane, R. Romani, N. Bucciantini, A. M. Bykov, O. Kargaltsev, M. C. Weisskopf e C.-Y. Ng
- “Deep Chandra Observations of the Pulsar Wind Nebula Created by PSR B0355+54” di Noel Klingler, Blagoy Rangelov, Oleg Kargaltsev, George G. Pavlov, Roger W. Romani, Bettina Posselt, Patrick Slane, Tea Temim, C.-Y. Ng, Niccolò Bucciantini, Andrei Bykov, Douglas A. Swartz, Rolf Buehler