Per trovare indizi di eventuali forme di vita su altri mondi è oltremodo utile comprendere come si sia sviluppata sul nostro. Un nuovo studio statunitense ha stabilito che condizioni adatte allo sviluppo di forme di cellule complesse possono essersi verificate sulla Terra – per poi recedere misteriosamente – più di 1 miliardo di anni prima che la vita prendesse veramente piede sul nostro globo.
«Le più antiche evidenze fossili di cellule complesse risalgono a qualcosa come 1.75 miliardi di anni fa», spiega Roger Buick del dipartimento di astrobiologia dell’Università di Washington, tra gli autori del nuovo studio. «Ma il fossile più vecchio non è necessariamente rappresentativo della forma di vita più antica che sia mai vissuta, perché le probabilità di ritrovare tale forma di vita conservata oggi in forma fossile sono piuttosto basse».
La ricerca, i cui risultati sono stati appena pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha usato l’elemento chimico selenio come indicatore della presenza di ossigeno in passato, analizzando l’abbondanza del selenio e dei suoi isotopi in rocce sedimentarie risalenti a un periodo compreso tra 2 e 2.4 miliardi di anni fa.
«Questa ricerca ha dimostrato che in quell’epoca, prima delle evidenze fossili, c’era abbastanza ossigeno nell’ambiente da permettere a cellule complesse di evolversi e diventare ecologicamente importanti», commenta Buick. «Questo non significa che l’abbiano fatto, ma che avrebbero potuto».
La visione corrente “lineare” riguardo alla presenza storica di ossigeno nell’atmosfera terrestre prevedeva, in sintesi, che dapprima non ve ne fosse affatto, poi ce ne fosse un po’ e infine un bel po’. Ma con questa nuova ricerca si evidenzia un andamento più sincopato, dove per un periodo di circa 250 milioni di anni la percentuale di ossigeno divenne abbastanza alta, per poi decrescere di nuovo.
Ma quale fenomeno ha fatto sì che l’ossigeno salisse a tali livelli, per poi crollare drasticamente? «Questa è la domanda da un milione di dollari! Non sappiamo perché sia successo, né perché è terminato», ammette Eva Stüeken, ricercatrice all’Università di Washington all’epoca della ricerca, a cui ha contribuito.
Un tale picco di ossigeno era in realtà stato intravisto da alcuni studi, ma senza stabilire con precisione la sua consistenza e diffusione. «Ora sappiamo che è stato moderatamente significativo nell’atmosfera e nella parte superficiale degli oceani, ma insignificante nell’oceano profondo», precisa Stüeken.
Secondo gli autori del nuovo studio, l’uso del selenio come indicatore dei livelli di ossigeno nel passato potrebbe essere utile per la ricerca di ossigeno in altri pianeti. Future generazioni di telescopi spaziali forniranno agli astronomi informazioni sulla composizione dell’atmosfera di pianeti lontani. Alcuni di questi potrebbero essere approssimativamente grandi come la Terra e potenzialmente avere un livello apprezzabile d’ossigeno atmosferico.
Tuttavia, «la scoperta di un intervallo di tempo, nel lontano passato del nostro pianeta, in cui si sono avuti livelli di ossigeno simili a quelli attuali, ma forme di vita affatto simili, potrebbe significare che il rilevamento di un’atmosfera aliena ricca di ossigeno non è necessariamente prova di una biosfera complessa», sottolinea Michael Kipp, studente di dottorato all’Università di Washington e primo firmatario della nuova ricerca.
«Questo è un nuovo modo di misurare la storia dell’ossigeno nel passato di un pianeta, per stabilire se un tipo di vita complessa potrebbe essersi là evoluta e persistita sufficientemente a lungo per evolversi in esseri intelligenti», conclude Buick.
Per saperne di più:
- Leggi su PNAS l’articolo “Selenium isotopes record extensive marine suboxia during the Great Oxidation Event“, di Michael A. Kipp, Eva E. Stüekena, Andrey Bekker e Roger Buick