Pareva chiusa a settembre scorso – con la fine, dopo 12 anni di attività, della missione europea Rosetta e le peripezie di Philae – l’avventura intorno alla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, E invece la storia continua. Nonostante 67P sia stata oggetto di lunghe indagini, anche molto ravvicinate, da parte degli occhi attenti di Rosetta, le osservazioni dell’intera chioma cometaria erano rese impossibili dall’eccessiva vicinanza della sonda alla cometa.
Qui entra in gioco la piccola sonda giapponese Procyon, acronimo di PRoximate Object Close flYby with Optical Navigation, che è riuscita a misurare la quantità di acqua presente nella chioma dell’ormai familiare 67P. Lo testimonia lo studio, appena pubblicato sulla rivista The Astronomical Journal, di un team di astronomi del National Astronomical Observatory del Giappone (Naoj) e delle università del Michigan, di Kyoto Sangyo, di Rikkyo e di Tokyo. I dati analizzati offrono preziose informazioni non solo per capire la struttura interna delle comete ma anche per comprendere meglio i meccanismi di formazione del Sistema solare.
Procyon è un microsatellite (appena 65 kg) sviluppato dall’Università di Tokyo e dall’Agenzia spaziale giapponese JAXA, lanciato come payload secondario della sonda Hayabusa 2. La sua missione, inizialmente, era quella di raggiungere e studiare 2000 DP107: un oggetto near-Earth, ovvero un oggetto del sistema solare la cui orbita può intersecare quella della Terra. Primo asteroide binario ad essere scoperto, 2000 DP107 doveva essere raggiunto da Procyon grazie alla spinta addizionale derivante da un fly-by con la Terra, previsto per il 3 dicembre 2015 insieme ad Hayabusa 2. Le sonde dovevano passare a qualche milione di chilometri dalla superficie terrestre, sfruttando la gravità del nostro pianeta per accelerare e modificare le proprie orbite.
Ma qualcosa andò storto: a causa di un problema non risolvibile al motore ionico, Procyon mancò l’appuntamento per il gravity assist con la Terra e non poté inserirsi sulla rotta di intercettazione del suo obiettivo primario. Così, mentre Hayabusa 2 proseguiva la lunga traversata del Sistema solare per raggiungere l’asteroide 1999 JU3 Ryugu nel 2018, la piccola Procyon – perfettamente funzionante – ha ripiegato su un piano B: osservare la cometa di Rosetta.
Obiettivo: l’acqua. E in particolare il cosiddetto water production rate, vale a dire il tasso di acqua rilasciata dalla cometa per unità di tempo. Per ottenere una buona stima del water production rate, è necessario infatti disporre d’un modello della chioma cometaria, dal quale il rate dipende fortemente. Rosina (Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis), uno degli strumenti a bordo della sonda Rosetta dell’Agenzia spaziale europea, ha effettuato misure locali del tasso di acqua rilasciata dalla cometa per unità di tempo, ma come ha spiegato Kenneth Hansen, ricercatore della University of Michigan e autore d’uno studio sull’evoluzione dell’emissione di acqua della cometa pubblicato su MNRAS nel settembre 2016, «abbiamo bisogno di un modello per estendere queste misure all’intero sistema».
Il telescopio spaziale Swan, a bordo della sonda Esa e Nasa Soho, è stato spesso usato per scopi analoghi. Sfortunatamente, in questo caso la cometa si è spostata in una zona caratterizzata da un forte background stellare, vale a dire un fondo luminoso molto intenso che disturbava le osservazioni, e a causa della bassa risoluzione spaziale di SWAN non è stato possibile avere una buona resa delle immagini di 67P. Ma a bordo della sonda Procyon viaggia una camera sviluppata all’Università di Tokyo, Laica (Lyman Alpha Imaging Camera) che, a dispetto della piccole dimensioni, è dotata, oltre che di un grande campo di vista, anche di una risoluzione spaziale dieci volte maggiore rispetto a quella del telescopio SWAN. Le sue caratteristiche, unite alle alte performance di puntamento del satellite e del telescopio, hanno così conferito un senso tutto nuovo alla missione di Procyon.
Laica, essendo specializzata nell’osservazione della linea Lyman alfa, era adatta a questo tipo di osservazioni. La maggior parte degli atomi di idrogeno presenti in una chioma cometaria si forma dalle molecole d’acqua emessi dal nucleo della cometa che sono stati soggetti a un processo di foto-dissociazione a causa della radiazione UV solare. «Per testare i diversi modelli della chioma», spiegano gli autori dell’articolo nel comunicato stampa del Naoj, «dobbiamo comparare il tasso complessivo di acqua prodotta derivato dalle osservazioni della chioma con le previsioni basate sui risultati di Rosetta e i vari modelli di chioma. Quindi è stato molto utile avere la visione d’insieme data da un altro satellite».
Poiché l’acqua è la molecola più abbondante nel ghiaccio della cometa, questa misura è importante per capire non solo il livello di attività cometaria ma anche il processo attraverso il quale le molecole sono state incorporate nelle comete quando si sono formate ai primordi del sistema solare. «In base ai nostri risultati», concludono i ricercatori, «abbiamo potuto testare i vari modelli di chioma della cometa. Combinando i risultati di Rosetta, il tasso di perdita di acqua osservato a differenti distanze dal sole e con composizione chimica, abbiamo stimato con accuratezza la massa totale di acqua persa dalla cometa durante il periodo di osservazione».
Un risultato scientifico, questo della sonda Procyon, che mostra come i micro-satelliti low-cost possano essere utilizzati a sostegno di operazioni che non possono essere compiute da missioni più grandi. Una sorta di utilizzo da “spalla” per grandi campioni, quello dei piccoli satelliti. Piccoli, ma con un promettente futuro.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astronomical Journal l’articolo “Imaging observations of the hydrogen coma of comet 67P/Churyumov-Gerasimenko in September 2015 by the PROCYON/LAICA”, di Yoshiharu Shinnaka et al.