Un nuovo studio, pubblicato su Physical Review Letters, ha fornito le prime importanti indicazioni scientifiche sulla compatibilità statistica con i dati sperimentali del modello olografico dell’universo, secondo il quale il nostro universo sarebbe, appunto, un grande e complesso ologramma.
La ricerca ha coinvolto fisici e astrofisici teorici di Regno Unito, Italia e Canada, in particolare dell’Università di Southampton in Inghilterra, della Sezione di Lecce dell’INFN e dell’Università del Salento in Italia, del Perimeter Institute e dell’Università di Waterloo in Canada. La ricerca è frutto di un’analisi congiunta di aspetti teorici e fenomenologici della fisica dell’universo primordiale, uniti a studi di fisica delle interazioni fondamentali.
I risultati di questa complessa analisi sono stati confrontati con i dati sperimentali satellitari sulla radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, CMB) e sono stati trovati in accordo con essi. Il modello corrente del nostro universo, che è in una fase di accelerazione dovuta alla presenza di energia oscura, prevede una cosiddetta ‘costante cosmologica’, introdotta da Einstein negli anni ’20 e chiamata Lambda, insieme a materia oscura fredda (Cold Dark Matter, CDM), e per questo prende il nome di modello Lambda-CDM. Questo modello è supportato dai dati sperimentali. La nuova ricerca prova che gli stessi dati sperimentali sono a favore anche di un modello di universo olografico.
«L’ipotesi che il nostro universo funzioni come un enorme e complesso ologramma è stata formulata negli anni ’90 del secolo scorso da diversi scienziati, raccogliendo evidenze teoriche in vari settori della fisica delle interazioni fondamentali», spiega Claudio Corianò, ricercatore dell’INFN e professore di fisica teorica dell’Università del Salento, che ha partecipato alla ricerca insieme ai colleghi Niayesh Afshordi, Luigi Delle Rose, Elizabeth Gould e Kostas Skenderis. «L’idea alla base della teoria olografica dell’universo – prosegue Corianò – è che tutte le informazioni che costituiscono la ‘realtà’ a tre dimensioni – più il tempo – siano contenute entro i confini di una realtà con una dimensione in meno».
Si può immaginare che tutto ciò che si vede, si sente e si ascolta in 3D – e la percezione del tempo – sia emanazione di un campo piatto bidimensionale, cioè che la terza dimensione sia ‘emergente’, se paragonata alle altre due dimensioni. L’idea, quindi, è simile a quella degli ologrammi ordinari, in cui l’immagine tridimensionale è codificata in una superficie bidimensionale, come nell’ologramma su una carta di credito, solo che qui è l’intero universo a essere codificato. In un ologramma la terza dimensione viene generata dinamicamente a partire dall’informazione sulle rimanenti due dimensioni.
«Per creare un ologramma si prende un fascio laser luminoso e lo si separa all’origine in due fasci: uno è inviato su un oggetto distante e quindi viene riflesso, mentre l’altro è inviato per essere registrato. Servono due coordinate per indirizzare il fascio incidente sull’oggetto, in modo da esplorarlo completamente, mentre è proprio l’interferenza tra il fascio originario e quello riflesso che permette di ricostruire l’immagine e dare il senso della profondità», conclude Corianò.
Si può rappresentare il concetto pensando al cinema in 3D. Anche in questo caso la visione 3D è il risultato di due immagini differenti inviate all’occhio destro e all’occhio sinistro, dove una scena viene ripresa da due angolature distinte, che il nostro cervello processa automaticamente generando il senso della profondità. L’informazione, in questo caso, viene da uno schermo piatto, ma è percepita dall’osservatore come tridimensionale. In ambito cosmologico, per avere una rappresentazione semplificata della formulazione olografica, possiamo immaginare che ci sia una superficie ideale, sulla quale tutta l’informazione dell’universo venga in qualche modo registrata, come in un ologramma: uno schermo che contiene la “scena” dell’intero universo.
Gli scienziati ora sperano che il loro studio possa aprire la via per migliorare la nostra comprensione dell’universo e spiegare come lo spazio e il tempo si siano prodotti.
Fonte: comunicato stampa INFN
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “From Planck Data to Planck Era: Observational Tests of Holographic Cosmology“, di Niayesh Afshordi, Claudio Corianò, Luigi Delle Rose, Elizabeth Gould e Kostas Skenderis (qui il preprint)