Innalzato alla stratosfera il 25 settembre 2015 dalla base NASA di Fort Sumner, in Nuovo Messico (USA), grazie a un gigantesco pallone rigonfio d’elio, l’esperimento RaD-X (Radiation Dosimetry Experiment) della Nasa nel suo unico giorno di volo ha registrato il livello di raggi cosmici a varie quote. I risultati di tale campagna scientifica, che ha ottenuto le prime misure di questo tipo realizzate ad altitudini comprese tra 8 e 36.5 km sopra la superficie terrestre, sono stati ora resi pubblici in un numero speciale della rivista Space Weather Journal.
La missione RaD-X, progettata dal Langley Research Center della NASA, aveva lo scopo principale di migliorare il modello con cui si valutano le dosi di raggi cosmici primari a cui sono soggetti gli aeromobili alle varie altezze e latitudini di crociera. Chiamati storicamente “raggi”, si tratta in realtà di particelle cariche ad alta energia, principalmente protoni e nuclei atomici, per la maggior parte prodotti al di fuori del Sistema solare.
La magnetosfera terrestre agisce come uno scudo e blocca la maggior parte dei raggi cosmici prima che raggiungano il pianeta. Tuttavia, particelle con energia sufficiente possono penetrare l’atmosfera, dove si scontrano con le molecole di azoto e ossigeno, dando origine a ai cosiddetti sciami di particelle secondarie. Mentre a livello del suolo siamo dunque ampiamenti protetti, negli strati più sottili dell’atmosfera queste particelle possono teoricamente danneggiare gli esseri umani, avendo sufficiente energia da spezzare il DNA, ma anche l’elettronica dei velivoli.
La radiazione nell’atmosfera può essere misurata secondo due criteri: nella quantità in cui è presente, oppure nella misura in cui può danneggiare tessuti biologici. Quest’ultima quantità, conosciuta come dose equivalente, è lo standard per quantificare i rischi per la salute, ed è notoriamente più difficile da misurare.
La missione RaD-X ha misurato per più di 15 ore il tasso di radiazione dose equivalente in un’ampia gamma di altezze, riscontrando un aumento costante del tasso mano a mano che si sale di quota, un risultato in apparente contrasto con la conosciuta concentrazione di particelle alla quota di circa 18 km, nota agli addetti ai lavori come massimo di Pfotzer. Una possibile spiegazione sta nella complessa interazione, a queste altitudini, fra particelle primarie (i raggi cosmici, presenti in alta quota) e particelle secondarie (quelle prodotte a seguito di decadimento delle primarie): entrambe possono avere effetti nocivi per la salute, ma il danno provocato sui tessuti dalle particelle primarie assai maggiore.
Per quanto riguarda i piloti e gli assistenti di volo, che trascorrono lunghi periodi di tempo nella parte alta dell’atmosfera, si è riscontrato che sono esposti mediamente a quasi il doppio di radiazione cosmica rispetto a chi non vola: un valore più alto rispetto a quanto stimato finora.
I risultati ottenuti da RaD-X saranno utilizzati per migliorare i modelli di space weather, come il NAIRAS (Nowcast Atmospheric Ionizing Radiation for Aviation Safety), modello che fornisce previsioni utilizzate dai piloti commerciali per modificare eventualmente le rotte nel caso di livelli di radiazione ritenuti troppo alti.
Più in generale, imparare a proteggere il corpo umano dalla radiazione cosmica è un passo fondamentale per l’esplorazione spaziale. Marte, ad esempio, possiede a livello del suolo lo stesso livello di radiazione cosmica presente negli alti strati dell’atmosfera terrestre.
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