Uno studio pubblicato questa settimana su Nature Astronomy risolve un enigma attorno al quale gli astrofisici si arrovellano da anni: i granelli di antica polvere cosmica trasportati dalle meteoriti mostrano, all’analisi isotopica, una composizione apparentemente in contrasto con i modelli sulla formazione di grani presolari di gas e polveri. Si tratta di grani ricchi d’ossigeno che hanno origine negli inviluppi circumstellari delle stelle Agb, quelle appartenenti al cosiddetto ramo asintotico delle giganti (asymptotic giant branch) e con massa compresa tra 6 e 8 volte quella del Sole.
«Questi grani, o meglio “granelli”, visto che sono lunghi appena qualche micron, si trovano nelle meteoriti, ma non hanno nulla a che fare con esse. Le meteoriti agiscono solo da “contenitori”. La chimica delle meteoriti è infatti quella solare, ed è diversa», spiega a Media Inaf Oscar Straniero, astrofisico all’Osservatorio di Teramo dell’Inaf e coautore dello studio guidato da Maria Lugaro del Konkoly Observatory ungherese, «da quella delle stelle attorno alle quali i grani si sono formati in epoca anteriore al Sistema solare».
Sono dunque grani pre-solari, o volendo extra-solari: testimoni di un’antichissima nube interstellare giunti nei nostri laboratori grazie alle meteoriti, che li hanno prima inglobati e poi trasportati fino a terra. Grani che si sono formati nel vento delle stelle Agb – stelle al cui interno, fra le tante reazioni di fusione nucleare, è avvenuta anche la sintesi degli isotopi dell’ossigeno. Ed è proprio l’abbondanza relativa di uno di questi isotopi, l’ossigeno-17, ad aver messo in crisi gli scienziati: stando ai calcoli, per quanto raro (circa mille volte più raro del comune ossigeno-16), doveva essere comunque assai più abbondante di quello che in realtà si trova nei grani giunti fino a noi a bordo dalle meteoriti.
La soluzione del rompicapo è arrivata grazie all’esperimento Luna, un acceleratore – l’unico al mondo installato in un laboratorio sotterraneo schermato dai raggi cosmici, quello sotto al Gran Sasso dell’Infn – in grado di studiare le reazioni di fusione termonucleare che avvengono nel cuore delle stelle.
E che cos’ha visto? «Luna ha osservato che la probabilità che si inneschi una reazione di fusione nucleare tra nuclei di idrogeno e ossigeno-17 è doppia rispetto a ciò che si pensava», dice il coordinatore dell’esperimento, Paolo Prati, dell’Infn. «Ciò implica che l’ossigeno-17 viene rapidamente distrutto già all’interno delle stelle di origine, e quindi nella polvere cosmica si ritrova solo in bassissime concentrazioni. Ecco perché all’interno delle meteoriti giunte fino noi non si reperisce nelle quantità inizialmente attese: si può così finalmente essere certi che questi fossili celesti sono i testimoni autentici delle fasi convulse di formazione del Sistema solare e della Terra».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Origin of meteoritic stardust unveiled by a revised proton-capture rate of 17O”, di M. Lugaro, A. I. Karakas, C. G. Bruno, M. Aliotta, L. R. Nittler, D. Bemmerer, A. Best, A. Boeltzig, C. Broggini, A. Caciolli, F. Cavanna, G. F. Ciani, P. Corvisiero, T. Davinson, R. Depalo, A. Di Leva, Z. Elekes, F. Ferraro, A. Formicola, Zs. Fülöp, G. Gervino, A. Guglielmetti, C. Gustavino, Gy. Gyürky, G. Imbriani, M. Junker, R. Menegazzo, V. Mossa, F. R. Pantaleo, D. Piatti, P. Prati, D. A. Scott, O. Straniero, F. Strieder, T. Szücs, M. P. Takács e D. Trezzi
- Leggi il comunicato stampa Infn