Venezia, in febbraio, non è solo Carnevale. Se volete scappare dalla folla e riprendere fiato, entrate a Palazzo Cavalli Franchetti e godetevi la mostra Our Place in Space. Trovarla è facile, il palazzo, che è sede dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti, si affaccia, oltre che sul Canal Grande, su un campiello ai piedi del ponte dell’Accademia, un ponte dove, presto o tardi, dovrete passare nel vostro vagabondare veneziano. Una volta entrati, lasciatevi trasportare in un viaggio nello spazio e nel tempo che vi porterà a riflettere, in modo lieve, sul nostro rapporto con l’Universo. Vi faranno da guida le immagini del telescopio spaziale Hubble, lo strumento astronomico che più di tutti ha cambiato il rapporto tra il pubblico ed il cielo profondo, e vi aiuteranno le opere di 10 artisti contemporanei italiani che si sono lasciati ispirare dalle immagini del telescopio spaziale e hanno prodotto sculture, dipinti, installazioni che sono esposti accanto alle foto degli oggetti celesti che hanno fatto scattare la scintilla creativa. Antonella Nota e Anna Caterina Bellati, curatrici della mostra, hanno avuto il difficile compito di selezionare solo alcune della immagini più iconiche tra lo sterminato archivio accumulato dallo Space Telescope in 26 anni di attività.
Organizzata dell’Agenzia spaziale europea in collaborazione con la Nasa, Our Place in Space parte dal nostro vicinato cosmico – le stagioni su Marte, la Grande macchia rossa di Giove, le intense aurore di Saturno – fino agli oggetti più lontani, quindi più deboli, che si conoscano, passando per una galleria di splendide galassie, molte delle quali sono impegnate in balletti cosmici. Difficile non farsi affascinare dalle nebulose, come la bolla quasi magica che campeggia sul poster della mostra. Si tratta di Ngc 7635, a 8mila anni luce da noi, e l’immagine è stata scelta per festeggiare il 26esimo anno di attività della missione Hubble. Potrebbe essere una bolla di sapone oppure una delle bolle di vetro che si vedono soffiare dai mastri vetrai a Murano. Pur con le sue dimensioni astronomiche, la nebulosa è effimera proprio come le bolle di sapone o quelle di vetro. È destinata a durare un attimo nella scala dei tempi cosmici e poi si dissolverà. Difficile competere con le immagini celesti, preparate con grande maestria dagli esperti dello Space Telescope.
Parliamo di bellezza allo stato puro. Non per niente cosmo e cosmetica hanno la stessa radice. Ammiro Antonio Abbatepaolo, Marco Bolognesi, Paola Giordano, Ettore Greco, Mario Paschetta, Alessandro Spadari, Marialuisa Tadei, Sara Teresano, Mario Vespasiani, Dania Zanotto, i dieci artisti che hanno accettato la sfida. Le opere d’arte spaziano da dipinti ad olio e materiali misti, a installazioni, sculture in alabastro, a globi in mosaici di vetro di Murano, fino a un modello di navicella spaziale costruita in materiali di riciclo. Questo mix di fotografie e video, opere d’arte e installazioni permette ai visitatori di apprezzare i punti di vista, sicuramente diversi, di astronomi e artisti. La fusione di scienza e arte fornisce una visione più ricca e sfaccettata del nostro Universo e del nostro posto al suo interno. Gli astronomi e gli artisti coinvolti in questo progetto offrono la loro interpretazione del luogo dove ci troviamo e al quale apparteniamo perché è qui che è nata la vita ed è qui che ci siamo evoluti.
Grazie a un’integrazione ben riuscita tra le diverse prospettive, la mostra invita a riflettere sulle grandi domande che tutte le civiltà si sono poste. Da dove veniamo? Qual è il nostro posto nell’Universo? Siamo soli nello spazio? La ricerca di altri sistemi planetari, che oggi è uno dei filoni più vivaci della ricerca astronomica, era un campo di ricerca inesistente quando Hubble venne lanciato in orbita, nel 1990. Dopo 26 anni di attività, grazie a cinque missioni di riparazione e aggiornamento della strumentazione, effettuate da astronauti competenti e coraggiosi, Hubble ha superato di gran lunga le aspettative. Le sue scoperte hanno cambiato radicalmente il nostro modo di vedere l’Universo. Oggi, per esempio, pensiamo che ogni stella della nostra Galassia ospiti un sistema planetario, e che alcuni tra questi mondi possano presentare le caratteristiche adatte a ospitare la vita. In effetti, di questi nuovi mondi noi conosciamo solo la massa e la distanza dalla stella, molto resta da fare per decidere se possano veramente ospitare qualche tipo di vita, anche la più semplice.
Lo Hubble Space Telescope è riuscito a studiare le caratteristiche dell’atmosfera di diversi pianeti extrasolari e su alcuni di essi ha registrato la presenza di acqua e metano, un buon punto di partenza. È la ricerca della nuova Terra nel vasto e variegato campionario dei pianeti extrasolari che ispira i globi ricoperti di mosaico di vetro di Murano di Maraluisa Tadei. Posizionati davanti alle immagini di Marte, colto al variare delle sue stagioni, i globi colorati rappresentano la diversità dei pianeti del nostro sistema solare e di tutti gli altri, che gli astronomi stanno via via scoprendo. Evocativa è anche la scultura di Sara Teresano che, davanti alle immagini di alcune galassie molto fotogeniche, coglie l’attimo nel moto vorticoso di una galassia a spirale.
Uscendo per tornare nel turbine del Carnevale, spero vi ricorderete che, oltre alle innumerevoli scoperte astronomiche, Hubble soddisfa la nostra curiosità, accende la nostra immaginazione e ha un grosso impatto su cultura, società, arte, diventando un simbolo del desiderio umano di esplorare. Spero avrete anche apprezzato la bellezza, la meraviglia e la complessità del cielo e vorrete proteggerlo contro le molte forme di inquinamento che rischiano di oscurarlo.
Dopo questa prima tappa veneziana (che durerà fino al 17 aprile), la mostra sarà a Chiavenna, dal 5 maggio al 31 agosto 2017. Successivamente sarà al Visitor Centre della sede dell’Osservatorio Europeo Australe (Eso) di Garching, in Germania. Ulteriori tappe sono previste in altre città europee, negli Stati Uniti e in Australia. L’ingresso al pubblico rimarrà sempre gratuito perché il cielo è di tutti e le immagini di Hubble sono state pagate anche dalle nostre tasse.
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