Il Sistema solare potrebbe essere formato da un centinaio di pianeti. No, non siamo improvvisamente impazziti ma riportiamo semplicemente l’ultima, ambiziosa (diciamo anche azzardata e discutibile), proposta del ben noto Alan Stern e di altri cinque astronomi secondo i quali il declassamento di Plutone a pianeta nano andrebbe rivisto. Non solo: se Plutone tornasse a far parte della famiglia dei pianeti, allora anche molti altri oggetti (i cosiddetti “non pianeti”) si aggiungerebbero a Venere, Mercurio, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. La decisione dell’Unione astronomica internazionale (Iau) risale al 2006, quando altri 4 corpi del Sistema solare (oltre a Plutone) sono stati classificati come pianeti nani: Cerere (nella fascia principale degli asteroidi), Haumea, Makemake, e Eris (che si trovano oltre l’orbita di Nettuno).
Con il flyby del 2015, la missione della Nasa New Horizons ha visto che anche Caronte (la luna più grande del sistema di Plutone) potrebbe eventualmente raggiungere lo status planetario. A seguire tutti i pianeti nani e molte lune a noi note guadagnerebbero un posto d’onore perché, secondo Stern & friends, per essere un pianeta basta che corpo di massa sub-stellare non abbia mai subito un fusione nucleare e che abbia una forma sferoidale descritta da un ellissoide triassiale indipendentemente dai suoi parametri orbitali. Insomma, un pianeta è un oggetto grande e rotondo e non stellare. Così anche la nostra Luna, se allarghiamo la definizione, potrebbe essere un pianeta, ma anche Encelado e Titano. La lista può continuare ancora e ancora.
Vediamo cosa ne pensa in merito Giovanni Valsecchi, esperto di dinamica planetaria dell’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf, che abbiamo coinvolto per spiegarci meglio quanto questa rivoluzione possa essere plausibile e cosa comporterebbe.
Nel 2006 Plutone è stato declassato da pianeta a pianeta nano. A parte le diverse polemiche interne alla comunità scientifica, cosa ha portato a questa storica decisione?
«I dubbi sullo status di Plutone cominciarono appena dopo la scoperta. Che la massa di Plutone fosse molto piccola venne dimostrato, nel 1978, dalla scoperta di Caronte (il suo grande satellite): Christy ed Harrington furono presto in grado di dimostrare che la massa di Plutone era poco più di un seicentesimo di quella della Terra. Il colpo di grazia poi venne con la scoperta che la regione transnettuniana ospita moltissimi oggetti, alcuni dei quali di dimensioni analoghe a Plutone. In pratica, si ripeté quanto avvenuto dopo la scoperta di Cerere: divenne chiaro che molti corpi piccoli occupano la “nicchia orbitale” di Plutone, e che quest’ultimo, come Cerere, è il residuo (o uno dei residui principali) del fallimento della crescita di un pianeta. La decisione della IAU nel 2006 ha solo preso atto di questo stato di cose».
Quali sono le caratteristiche più importanti per inserire un oggetto nella categoria “pianeta”?
«Mah, direi che sono solo 3 e cioè quelle presenti nella definizione della Iau: che abbia un’orbita eliocentrica; che sia quasi-sferico a causa della propria autogravità; che domini largamente la propria regione orbitale. Queste caratteristiche possono essere formulate in vari modi, più o meno impermeabili alle critiche. Le prime due sono più o meno accettate universalmente, la terza è quella più interessante dal punto di vista dinamico. Fu introdotta da Stern e Levison (sì, lo stesso Stern che combatte strenuamente la risoluzione Iau…), rielaborata da Soter e più recentemente da Margot».
Tra gli oggetti definiti “quasi pianeta” ma che non ce l’hanno mai fatta ad entrare in questa categoria, ce n’è uno che davvero avrebbe diritto (a parte Plutone)?
«Direi proprio di no, ovviamente anche per quanto riguarda Plutone».
Se Plutone tornasse nella nostra famiglia di pianeti potrebbe portarsi dietro anche un centinaio di altri oggetti, come Ganimede. Come cambierebbe il nostro vicinato planetario? È una rivoluzione credibile e fattibile o si tratta solo di mera teoria?
«La situazione attuale può non piacere, ma è chiara e inoltre si presta ad un dibattito scientifico su basi quantitative, come dimostrano i lavori di Soter e Margot. La proposta di Runyon, Stern et al., se accettata così com’è, porterebbe solo confusione, esattamente il risultato opposto rispetto a quello che si ottiene adottando una “buone definizione”. La proposta diventa accettabile se si sostituisce alla parola “planet” l’espressione “planetary body” (corpo planetario, ndr), che evita equivoci e riflette meglio la realtà. Ganimede si può, infatti, ben considerare un corpo planetario, né più né meno di Mercurio (che ha un diametro leggermente minore), ma non è un pianeta a causa dell’orbita non eliocentrica. Plutone, Cerere ed Eris, più piccoli ma comunque quasi sferici, sono corpi planetari ma non pianeti, perché possono incontrare, e possibilmente impattare, corpi di dimensioni paragonabili alla loro».
Insomma, Plutone non è un pianeta come non lo sono la maggior parte degli oggetti del nostro Sistema solare. I pianeti sono 8. Tutto il resto è noia, come direbbe qualcuno…
Per saperne di più:
- Leggi “A geophysical planet definition”, di K.D. Runyon , S.A. Stern , T.R. Lauer , W. Grundy , M.E. Summers e K.N. Singer
- Leggi “The definition of planet: a dynamicist’s point of view”, di G. B. Valsecchi