È possibile che la meccanica celeste del Sistema solare si rifletta in una conformazione geologica nordamericana? La risposta è sì, e il responsabile è il clima. Per la precisione, il cambiamento climatico, del quale le rocce – come del resto i ghiacci – custodiscono una sorta di archivio. E quella scoperta da un team di scienziati guidato da Stephen Meyers (University of Wisconsin-Madison) e da Brad Sageman (Northwestern University) nella formazione geologica di Niobrara, in Nord America, è la firma d’una “transizione di risonanza” caotica fra le orbite di Marte e della Terra. Una firma che suggerisce un comportamento dinamico caotico del Sistema solare.
La transizione di risonanza può essere considerata come un prodotto del celebre effetto farfalla, quella dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali, alla base della teoria del caos, secondo la quale nei sistemi non lineari è a volte sufficiente una variazione minima per produrre, nel corso del tempo, effetti macroscopici e imprevedibili. Variazioni, nel caso di Marte e della Terra illustrato nello studio uscito oggi su Nature, corrispondenti agli impercettibili tira e molla gravitazionali che si verificano periodicamente allorché la distanza fra i due pianeti, durante la loro rivoluzione attorno al Sole, si riduce al minimo, per poi aumentare di nuovo. Piccoli “strappi” che, ripetendosi nel corso tempo con una certa regolarità, finiscono per avere effetti sulla posizione e l’orientamento dell’asse dei due pianeti rispetto al Sole, influenzando così la quantità d’energia irraggiata sulle diverse zone della superficie, e di conseguenza il clima.
E le conseguenze geologiche? Se la relazione fra la sedimentazione e il cambiamento climatico è complessa, l’idea di base è piuttosto semplice: il cambiamento climatico altera il rapporto fra argilla e carbonato di calcio nei vari strati sedimentali, tenendo così traccia dell’influenza astronomica nel processo. «Immaginate per esempio una fase climatica molto calda e umida, che favorisca l’incanalarsi – attraverso i fiumi – dell’argilla nelle insenature marine, dando così origine a rocce e fanghi ricchi d’argilla», spiega Meyers, «alternarsi a periodi di clima più secco e più fresco, durante i quali venga trasportata in mare meno argilla, a vantaggio della formazione di rocce calcaree, ricche invece di carbonato di calcio».
Ebbene, è proprio in queste alternanze fra sedimenti di volta in volta più calcarei o più argillosi, collocate nel tempo tramite tecniche di datazione radiometrica, che il team guidato da Meyers è riuscito a individuare per la prima volta indizi certi di caoticità nei moti orbitali del Sistema solare. Il sospetto che le orbite planetarie non fossero regolari come orologi gli scienziati già lo avevano almeno dalla fine degli anni Ottanta: da quando i calcoli numerici mostrarono come l’orbita di Plutone fosse, appunto, caotica, portando l’anno successivo l’astronomo francese Jacques Laskar a proporre una visione del Sistema solare come sistema caotico, e non quasi-periodico come avevano immaginato, per esempio, Laplace e Lagrange. «Altri studi hanno suggerito la presenza di caos sulla base dei dati geologici. Ma questa è la prima prova inequivocabile», sottolinea Meyers, «resa possibile grazie alla datazione radiometrica d’alta qualità e al forte “segnale astronomico” conservato nelle rocce».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Theory of chaotic orbital variations confirmed by Cretaceous geological evidence“, di Chao Ma, Stephen R. Meyers e Bradley B. Sageman