Divorano tutto, luce e materia, questo già lo sapevamo. Ma quanto divorano? O meglio: quanti pasti si concedono? Parliamo di buchi neri, naturalmente. Buchi neri supermassicci. Quelli che albergano nel cuore delle galassie, Via Lattea compresa. E che di tanto in tanto trangugiano una malcapitata stellina di passaggio. Ed è proprio per calcolare a quanto ammonta quel di tanto in tanto che un team di astronomi dell’università di Sheffield, nel Regno Unito, ha seguito per dieci anni, a partire dal 2005, un campione di 15 galassie ultraluminose nell’infrarosso. Tutte galassie nelle quali è in corso un episodio di “collisione cosmica” con galassie vicine. I risultati, pubblicati sull’ultimo numero di Nature Astronomy, si discostano non poco dalle stime esistenti: se le precedenti osservazioni suggerivano un ‘pasto stellare’ – più correttamente, un tidal disruption event (Tde), o evento di distruzione mareale – una volta ogni 10-100mila anni per ciascuna galassia, dunque fenomeni estremamente rari, i dati raccolti dagli astronomi inglesi grazie al William Herschel Telescope, alle Canarie, inducono a pensare che in realtà il fenomeno sia almeno 100 volte più frequente. Soprattutto durante gli episodi di merging, ovvero quando due galassie si scontrano.
Come hanno fatto a calcolarlo? Per prima cosa va detto che la similitudine del ‘pasto’, sebbene adottata dagli stessi ricercatori (che parlano, appunto, di ‘cannibalismo’), va presa per quel che è: in realtà, non c’è una stella più o meno imprudente o un buco nero più o meno affamato, ma è tutto un gioco d’interazioni gravitazionali e di scambi energetici. Fatta questa premessa, la nuova stima – ottenuta, va detto, da un campione alquanto ridotto – deriva dall’osservazione di emissioni anomale dalle galassie sotto indagine. Una luce che può essere interpretata come l’agonia della stella smembrata, l’urlo elettromagnetico della materia che avvampa: strappata dalla forza gravitazionale del buco nero, rilascia enormi quantità d’energia. Sono i cosiddetti flares, o bagliori, e finché durano appaiono luminosi come miliardi di stelle messe assieme. Ed è proprio uno di questi flare – avvistato nel 2010 in una delle galassie del campione, F01004-2237, a 1.7 miliardi d’anni luce da noi – ad aver costretto gli astronomi a rivedere le precedenti stime.
In particolare, gli scienziati hanno avuto conferma d’un aspetto in apparenza facile da intuire, almeno per noi profani, sebbene gli autori dello studio si dichiarino stupiti: «I nostri risultati sorprendenti mostrano che la frequenza degli eventi di tidal disruption aumenta drammaticamente quando le galassie si scontrano», spiega James Mullaney, uno degli autori dello studio. «Ciò è probabilmente dovuto al fatto che le collisioni fanno sì che, mentre due galassie si fondono l’una nell’altra, molte stelle inizino a formarsi nei pressi dei due buchi neri supermassicci centrali».
Un incremento d’attività che in un lontano futuro potrebbe riguardare anche la nostra galassia. «In base a quanto abbiamo osservato per F01004-2237», dice lo scienziato alla guida dello studio, Clive Tadhunter, «ci attendiamo che eventi di tidal disruption diventeranno comuni anche nella Via Lattea, quando nel giro di circa 5 miliardi di anni finirà per fondersi con la galassia di Andromeda. Guardando verso il centro della Via Lattea al momento della fusione, saremo allora in grado d’osservare un flare più o meno ogni 10 – 100 anni. Bagliori che risulteranno visibili a occhio nudo, superando in luminosità qualunque altra stella o pianeta nel cielo notturno».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “A tidal disruption event in the nearby ultra-luminous infrared galaxy F01004-2237”, di C. Tadhunter, R. Spence, M. Rose, J. Mullaney e P. Crowther