Dimostrato per la prima volta in modo certo, nel Centro per la scienza e la tecnologia quantistica dell’Università di Vienna, un processo con un ordine causale indefinito. Tradotto con una similitudine, adottando la coppia di personaggi più celebre del mondo dei quanti: se Alice e Bob stanno correndo la maratona, può accadere che Alice tagli il traguardo sia prima sia dopo Bob. Vincendo e perdendo la stessa gara. Così come uno stato quantistico – quello di un qubit, per esempio – può assumere, finché non viene misurato, qualunque valore, in un processo quantistico l’ordine può essere, come nella gara fra Alice e Bob, indefinito. Il risultato dell’esperimento è riportato sull’ultimo numero di Science Advances. Ora, il fatto che nel mondo quantistico i processi possano non avere un ordine causale definito era già noto. L’importanza del nuovo studio sta proprio nella dimostrazione sperimentale.
Prima autrice dell’articolo, la ricercatrice Giulia Rubino, nata a Roma, laurea alla Sapienza e dottorato di ricerca in ottica quantistica a Vienna, nel team di Philip Walther, lo stesso che ha realizzato l’esperimento. «Il nostro gruppo di ricerca già nel 2015 aveva pubblicato una prima dimostrazione di non-separabilità causale», ricorda Rubino a Media Inaf, «ma, non essendo allora ancora stato sviluppato il concetto di causal witness, tale dimostrazione era realizzata soltanto in modo indiretto, violando un definito limite classico nella dimostrazione della commutatività o anticommutatività tra due operatori. Inoltre, a causa di imperfezioni sperimentali, tale dimostrazione era stata realizzata con un margine di sole 3 deviazioni standard, a differenza delle circa 7 deviazioni standard di questa dimostrazione».
Le 7 deviazioni standard, o i 7 sigma, alle quali fa riferimento Rubino sono il valore di significatività che le permette di parlare di “dimostrazione certa”. Più complicato, invece, trovare una traduzione per quel casual witness che ha consentito l’esperimento. “Testimone della causalità” può rendere vagamente l’idea, se inteso come testimone non di uno stato bensì di un processo quantistico, ma gli scienziati preferiscono attenersi alla definizione formale: uno strumento matematico per determinare se è possibile descrivere un esperimento senza dover ricorrere a ordini sovrapposti.
A “correre”, nell’esperimento dei fisici di Vienna, sono particelle di luce, coppie di fotoni fatti passare attraverso porte quantistiche (quantum gates). «La metafora della maratona vuole essere una semplificazione della realizzazione delle gates sul fotone», precisa Rubino descrivendo l’assetto sperimentale. «Il fotone, all’interno dell’interferometro, viene inviato in sovrapposizione quantistica a due gates in differenti permutazioni a seconda del cammino. Ciò che tuttavia la metafora dei corridori non rende, ma è centrale nel nostro esperimento, è il fatto che una delle due gates non è una semplice operazione unitaria sul fotone ma una misura, per mezzo di una proiezione sul grado di libertà della polarizzazione».
Ora, le misure hanno un problema: rompono l’incantesimo quantistico che permette ai sistemi di mantenere il loro stato indefinito. Per implementare il causal witness, dunque, i ricercatori hanno dovuto escogitare un assetto sperimentale che permettesse loro di estrarre informazioni dall’interno del fragilissimo processo quantistico senza distruggerlo. La soluzione che hanno trovato, volendo rimanere nella similitudine della maratona, è quella di assistere alla gara guardando non i “corridori” ma un “arbitro” – un ulteriore sistema quantistico – che, a sua volta, guarda i corridori. E che non comunica chi ha vinto e chi ha perso, bensì se chi ha vinto ha anche perso. «In pratica, quella che effettuavamo era una misura di proiezione sulla polarizzazione», spiega Rubino, «ma per non assumere nessuna informazione temporale su chi ha agito prima, facevamo sì che i due cammini interferissero, e misuravamo il risultato solo al di fuori dell’interferometro».
Tutto troppo astratto e complicato per avere ricadute sulle nostre vite? Non è detto. «Ora lavoro nel gruppo di Philip Walther, e mi occupo di sistemi che presentano un ordine causale indefinito. Queste ricerche si limitano per il momento a capire meglio le conseguenze di questo tipo di processi nella teoria quantistica, ma mi piacerebbe in futuro», conclude infatti Rubino, «investigare anche i vantaggi che essi consentono in computazione e comunicazione quantistica».
Per saperne di più:
- Leggi su Science Advances l’articolo “Experimental verification of an indefinite causal order“, di Giulia Rubino, Lee A. Rozema, Adrien Feix, Mateus Araújo, Jonas M. Zeuner, Lorenzo M. Procopio, Časlav Brukner e Philip Walther