La grande bellezza deturpata dai led. Era la scorsa settimana su tutte le maggiori testate, a partire dal New York Times, la polemica sulla sostituzione delle lampade per l’illuminazione pubblica nel centro di Roma. Quello della luce artificiale – a led o con altri sistemi – è un tema caldo, soprattutto per gli appassionati del cielo notturno, astrofili in testa, costretti a spostarsi in aree sempre più inaccessibili e sempre più limitate per poter godere del fascino delle stelle e della Via Lattea, ormai invisibile in buona parte d’Italia. Un argomento che ci troviamo spesso a trattare su queste pagine, e che viene ora indirettamente sfiorato da uno studio, firmato da ricercatori della School of Engineering and Applied Sciences (Seas) di Harvard e dell’Environmental Defense Fund (Edf), pubblicato la scorsa settimana su Plos.
Indirettamente, dicevamo, perché l’oggetto principale della ricerca non è la light pollution – l’inquinamento luminoso – bensì dimostrare come i big data possano essere utilizzati in ambito socio-economico. Ma poiché la sorgente della “grande mole di dati” scelta dai ricercatori è una raccolta di 21 anni d’osservazioni, compiute nell’ambito del Defense Meteorological Satellite Program (Dmsp) del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, sulle emissioni luminose notturne a livello planetario, ecco che i risultati diventano rilevanti anche per noi.
«Abbiamo provato a usare le luci notturne come proxy, come una sorta di sostituto per variabili economiche e ambientali», spiega Gernot Wagner, ricercatore presso il Seas e coautore dello studio. «Quello che abbiamo messo a punto è lo strumento a oggi più completo per esaminare la relazione fra luci notturne e una serie di indicatori socio-economici».
Lo strumento al quale si riferisce è un tool interattivo, disponibile online, che mette in correlazione – anno per anno, dal 1992 al 2013 – la luminosità notturna (rilevata da Dmsp) di ogni paese con otto indicatori: il consumo di energia elettrica, il Pil, la popolazione, la povertà e le emissioni di anidride carbonica, metano, protossido di azoto e gas fluorurati. I risultati sono abbastanza prevedibili: c’è una correlazione molto forte tra l’emissione luminosa notturna da una parte e, dall’altra, il Pil, il consumo d’energia elettrica e le emissioni di CO2. Viceversa, e anche questo era facile da indovinare, di norma più un paese appare buio e più è povero.
Ma è sempre così? Questa correlazione tra buio e povertà, un po’ scontata e ora dimostrata con i grandi numeri dallo studio dei ricercatori di Harvard, è proprio ineludibile? Dobbiamo rassegnarci a sacrificare la bellezza del cielo sull’altare della crescita? Media Inaf lo ha chiesto a Fabio Falchi, ricercatore presso l’Istil, l’Istituto di scienza e tecnologia dell’inquinamento luminoso, e autore del New World Atlas of Artificial Night Sky Brightness, realizzato con osservazioni del satellite americano Suomi Npp abbinate a misure di brillanza da terra. «Assolutamente no. Già nella mia tesi di laurea», ricorda Falchi, «avevo analizzato, credo per la prima volta al mondo, la correlazione, in Italia, fra prodotto interno lordo ed emissioni verso l’alto. E quello che avevo trovato è che le regioni del Sud, che avevano un Pil pari a circa la metà di quelle del Nord, emettevano la stessa quantità di luce pro-capite». Dunque? «Dunque sì, c’è una correlazione, ma non un principio di causa-effetto: si potrebbero benissimo avere alti livelli di Pil e basse emissioni luminose, come del resto emerge da un confronto – per esempio – fra i dati relativi alla Germania e quelli per Italia».
Allora qual è il segreto per mantenere sotto controllo, o meglio ancora ridurre, l’inquinamento luminoso pur con un Pil in crescita? «Le solite regole e i consigli di buon uso: evitare di sovrailluminare e non inseguire la falsa equazione “più luce uguale più sicurezza”. Un aiuto inaspettato», conclude Falchi, «potrebbe arrivarci dagli autoveicoli a guida automatica: se diventassero dominanti, l’illuminazione pubblica stradale non servirebbe quasi più. È una speranza per le prossime generazioni».
Per saperne di più:
- Prova il tool online messo a punto dai ricercatori di Harvard
- Leggi su PLOS l’articolo “Night-time lights: A global, long term look at links to socio-economic trends“, di Jeremy Proville , Daniel Zavala-Araiza e Gernot Wagner