Lo scorso febbraio la rivista Space Weather ha pubblicato un articolo dedicato alla ricostruzione dei maggiori eventi solari registrati nelle cronache dell’antica Cina e del Giappone. Lo studio è stato condotto da un team multidisciplinare di scienziati appartenenti alla Kyoto University, al Japan’s National Institute of Polar Research e al National Institute of Japanese Literature. Se la multidisciplinarietà non è una novità in ambito di ricerca scientifica lo è però il fatto che sia la letteratura – o meglio le cronache storiche – ad essere la principale disciplina coinvolta, anche se, come vedremo non è la prima volta che gli scienziati cercano conferme alle loro ipotesi e scoperte nelle cronache antiche.
Lo studio pubblicato su Space Weather indaga gli eventi solari occorsi partendo da quanto riportato da Fujiwara no Teika, uno dei maggiori poeti classici della letteratura giapponese, nelle Meige tsuki (“Cronaca della lingua chiara”, 1180-1235), un diario del poeta scritto in cinese che è anche un’importante fonte di informazioni per la storia culturale e politica del suo tempo. L’altra fonte utilizzata per lo studio è la Sòng Shǐ, la “Storia della dinastia Song”, opera storica cinese classica conosciuta anche come “Le 24 Storie della Cina”, che registra gli eventi occorsi sotto la dinastia Song, al potere dal 960 al 279 e commissionata nel 1343 dalla dinastia Yuan.
Gli scienziati giapponesi hanno rinvenuto in tali testi cronache che riferiscono di prolungati fenomeni di aurore polari, più intense e frequenti durante periodi di intensa attività solare. Ryuho Kataoka del National Institute of Polar Research e primo autore dello studio dice al riguardo: «Abbiano rinvenuto nelle antiche cronache giapponesi descrizioni di aurore polari prolungate, durate duo o più notti nel corso di una stessa settimana, nel Meige tsuki viene descritto questo fenomeno occorso tra il 21 e il 23 febbraio del 1204» e continua «nella Sòng Shǐ viene invece descritta la presenza di una grande macchia solare, indice di intensa attività magnetica e di possibili brillamenti solari, proprio il 21 di febbraio dello stesso anno».
Gli scienziati hanno quindi continuato l’analisi della Sòng Shǐ per cercare traccia di ulteriori testimonianze sulle aurore registrate tra il 900 e il 1200. Lo storico Hisashi Hayakawa, della Kyoto University e tra gli autori dello studio, dice riguardo i risultati di queste ulteriori ricerche che «abbiamo trovato altri 10 episodi che testimoniano di aurore prolungate in questo arco temporale», e continua «Comparando questi dati con le misurazioni al radiocarbonio sugli anelli degli alberi abbiamo notato una diminuzione del carbonio 14, che indica picchi di attività solare, negli stessi periodi».
Il team è riuscito anche a stabilire che le aurore sono state prevalenti nelle fasi di massima attività dei cicli solari, mentre in quelli di minima non è stata osservata nessuna aurora.
Abbiamo chiesto a Mauro Messerotti, ricercatore all’Inaf – Osservatorio Astronomico di Trieste e senior advisor dell’Inaf per lo space weather, di commentare per noi questo affascinante lavoro. «Uno degli obiettivi più complessi della meteorologia dello spazio è la ricostruzione del tempo meteorologico dello spazio nel passato, quando non erano disponibili dati scientifici. In questi casi si ricorre ad indicatori indiretti, come ad esempio i radionuclidi misurati nelle carote di ghiaccio antartiche ed artiche e negli anelli degli alberi, la cui abbondanza è correlata con il livello di attività solare».
«Di recente, nel 2015, proprio uno studio di questo tipo ha evidenziato come negli anni 774/75 d.C. e 993/4 d.C. si siano verificate delle tempeste solari di intensità molto maggiore di qualsiasi altra osservata in epoca moderna» continua Messerotti. «Gli autori di questo nuovo studio hanno utilizzato osservazioni di aurore polari prolungate riportate in cronache storiche giapponesi e cinesi, quali indicatori di tempeste geomagnetiche di notevole intensità, prodotte presumibilmente da serie di eiezioni di massa dalla corona solare nel periodo 581-1279 d.C.. La loro analisi fornisce perciò nuovi tasselli nel mosaico del clima dello spazio, che coprono un periodo che comprende, oltre al Minimo di Oort (1010-1050 d.C.), anche il Grande Massimo Medievale (1100-1250 d.C.)».
Messerotti conclude dicendo che «confrontando le indicazioni dalle cronache con le analisi dei radionuclidi nelle piante e con altri studi che coprono periodi posteriori, gli autori identificano tempeste geomagnetiche molto intense in particolare in corrispondenza dei massimi di attività del periodo in esame. Questa tendenza deve essere compresa alla luce delle statistiche degli eventi geomagnetici molto intensi osservati nell’epoca attuale, che si sono verificati preferenzialmente nella fase ascendente ed in quella discendente del ciclo di attività solare, anziché al massimo. D’altra parte, questo aspetto potrebbe essere imputato all’incompletezza di quanto riportato nelle cronache storiche, che potrebbero essere caratterizzate da discontinuità temporali».
Insomma un metodo di indagine davvero affascinante che permette agli studiosi, grazie al contributo di ‘inconsapevoli’ letterati e storici, di narrare con sempre maggior precisone le cronache del nostro Sole.
Per saperne di più:
- Leggi su Space Weather l’articolo “Historical space weather monitoring of prolonged aurora activities in Japan and in China” di Ryuho Kataoka, Hiroaki Isobe, Hisashi Hayakawa et al.