Può essere che sulle scale molto grandi delle strutture cosmiche, quali galassie e ammassi di galassie, o dell’intero universo non stiamo ancora comprendendo bene la gravità, nella versione classica, newtoniana, o nella formulazione, einsteiniana, della relatività generale. Se però la gravità si comportasse come previsto da queste teorie, sarebbe inevitabile pensare che la gran parte della materia nel cosmo non si manifesti emettendo radiazione elettromagnetica rivelabile a qualche lunghezza d’onda dal radio al gamma, sia cioè materia oscura (in inglese, dark matter). Questa idea è emersa osservando la velocità di rotazione nelle regioni esterne delle galassie, che resta abbastanza costante da una certa distanza in poi dal centro della galassia, mentre se la distribuzione della materia fosse ben rappresentata da quella della luminosità osservata dovrebbe invece diminuire. Anche su scale maggiori, per poter interpretare i moti delle galassie negli ammassi, occorre ipotizzare la presenza di materia non visibile.
Ma di cosa è costituita la materia oscura? Che possa essere simile in natura a quella a noi usuale, cioè agli atomi? Magari in forma di stelle spente o debolissime o pianeti oppure materia diffusa, polveri o atomi, nello spazio cosmico, non facilmente osservabili? Sembra proprio di no. Dalla teoria della formazione dei nuclei atomici nelle prime fasi dell’universo, basata sulla stessa fisica che descrive le reazioni nucleari e l’evoluzione delle stelle, risulta che l’abbondanza degli elementi leggeri dipende dal rapporto tra la densità numerica dei fotoni (particelle di luce) e quella dei barioni, ovvero dei protoni e neutroni di cui sono fatti gli atomi. La densità dei fotoni nell’universo è nota piuttosto bene dalle misure precise della radiazione di fondo cosmico a microonde (Cmb) e quindi l’abbondanza osservata degli elementi leggeri richiede che solo una piccola frazione della materia globale dell’universo sia in forma di atomi. L’insieme delle misure cosmologiche recenti indica che circa il 30 per cento della densità globale dell’universo è in forma di materia, e circa il 5 per cento in forma di materia barionica (la materia ordinaria). Il rimanente 25 per cento è dunque in forma di materia oscura. Oscura e misteriosa, dato che non sappiamo ancora che cosa sia.
Studi in corso e domande aperte
Sebbene siano varie le particelle fondamentali candidate dalle principali teorie fisiche delle unificazioni delle interazioni fondamentali a costituire la materia oscura, in assenza di una risposta e di una identificazione sperimentale univoche, in cosmologia si tenta di caratterizzarla dal punto di vista delle sue proprietà globali, statistiche. La più importante distinzione si basa sulla sua temperatura, e si parla allora di materia oscura fredda, tiepida, calda, o, in inglese, cold, warm e hot dark matter (rispettivamente: Cmd, Wdm e Hdm). Questa suddivisione è legata a due aspetti cosmologici fondamentali. Nel modello del big bang, l’universo, a seguito dell’espansione, è andato via via raffreddandosi. Tuttavia, alcune particelle fondamentali del plasma cosmologico primordiale a certe epoche cosmiche si sono annichilite, liberando energia nel plasma e riscaldando così le altre specie di particelle. Ovviamente, però, solo quelle che interagivano efficacemente con le altre. Un esempio notevole è l’annichilazione delle coppie elettrone-positrone, la cui iniezione di energia non ha però riscaldato i neutrini cosmologici, già non più interagenti in modo significativo, che risultano pertanto un po’ più freddi dei fotoni del fondo cosmico a microonde. Più debolmente una particella interagiva con le altre e prima si disaccoppiò, quindi ci aspettiamo che sia tipicamente più fredda. La classificazione in calda, tiepida e fredda è quindi legata alle interazioni fondamentali della particella costituente la materia oscura.
Il secondo aspetto, cruciale dal punto di vista osservativo, è legato alle strutture cosmiche. Si pensa che queste si siano formate dalla crescita per via gravitazionale di piccole disomogeneità iniziali di densità. Da una semplice considerazione di fisica – kT=(1/2)mv2, dove T, m e v sono la temperatura, massa e velocità della particella e k è la costante di Boltzmann – sappiamo che più le particelle sono calde e leggere e maggiore è la loro “agitazione termica”, ovvero la possibilità che disomogeneità su scale molto piccole tendano a rimescolarsi, dissipandosi. Ci aspettiamo allora che l’ampiezza delle perturbazioni sulle piccole scale, e quindi la “granularità” delle strutture osservate (per esempio: numero di galassie nane, distribuzione della materia nelle regioni centrali delle strutture, eccetera), rifletta la natura della materia oscura. Lo studio è tuttavia complicato dai numerosi e complessi fenomeni astrofisici, coinvolgenti la materia barionica, che avvengono alle piccole scale. Mentre sembra difficile riconciliare le osservazioni nell’ambito della Hdm, modelli di Cdm, tenuto conto degli effetti astrofisici, sembrano poter descrivere le osservazioni attuali, mentre quelli di Wdm potrebbero aiutare a risolvere alcuni problemi, tuttavia richiedendo studi ulteriori, complicati dalla natura statistica delle particelle, per includere anche gli effetti astrofisici.
Il coinvolgimento dell’Istituto nazionale di astrofisica
Gli scienziati dell’Inaf svolgono ricerche di primo piano in questo ambito da vari punti di vista: studi dettagliati delle galassie e degli ammassi di galassie e le survey di galassie verso la mappatura tridimensionale della loro distribuzione nell’universo, legata alla natura della dark matter; l’analisi del Cmb, che fornisce invece un riferimento fondamentale per la misura dei parametri cosmologici rilevanti, tra cui la densità globale della materia oscura nell’universo e le proprietà statistiche delle disomogeneità iniziali; l’interazione gravitazionale dei fotoni del Cmb, nel loro viaggio fino a noi, con le strutture cosmiche, che produce deboli effetti di lensing gravitazionale legati anche alla natura della dark matter. Infine vi è la possibilità che la materia oscura non sia stabile, ovvero che decada o si annichili producendo radiazione e altre particelle rivelabili.
L’autore: Carlo Burigana è primo ricercatore Inaf all’Istituto di astrofisica spaziale di Bologna
Su Media Inaf potrai trovare, mano a mano che verranno pubblicate, tutte le schede della rubrica dedicata a Voci e domande dell’astrofisica, scritte dalle ricercatrici e dai ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica